L’Opera Cardinal Ferrari è una delle realtà storiche del welfare ambrosiano. Dal 1921 si occupa di persone gravemente emarginate. Nel primo statuto si dice che l’Opera aiuta “le persone che non riescono nemmeno ad accedere ai servizi pubblici”. Quello di via Boeri tuttavia non è solo una mensa dei poveri ma un vero e proprio centro diurno che offre servizi integrati: dalla prima colazione, al servizio docce e guardaroba, da stanze per l’animazione a quelle per il riposo, alla merenda pomeridiana. La struttura, che di recente è stata completamente ristrutturata, ospita circa 230 persone ogni giorno, 160 delle quali non ha una casa. “Purtroppo – ci dice il presidente Pasquale Seddio – la nostra struttura non è in grado di accogliere persone durante la notte”. Gli avventori sono soprattutto anziani, che vengono serviti ai tavoli “perché molti fanno fatica a deambulare”, “su tovaglie di cotone e con posate di acciaio”. Che il servizio mensa sia molto importante lo si capisce anche da queste “piccole” attenzioni. Non solo per la quantità, la qualità e la varietà del cibo che viene servito, “perché gli anziani hanno bisogno di un’alimentazione equilibrata e povera di grassi”. Ma anche perché tra le persone che frequentano il centro ce ne sono alcune di religione musulmana e “noi vogliamo fare attenzione ai vincoli che devono rispettare”.
Come sta cambiando la povertà a Milano?
Negli ultimi anni il panorama sta cambiando parecchio.
In che direzione?
Si sta ampliando il numero di persone in difficoltà con un’età compresa tra i 50 e i 60 anni. Persone che magari fuoriescono dal mercato del lavoro e non riescono a rientrarci; o magari separati che cadono in condizione di indigenza perché si ritrovano fuori casa, con un reddito ridotto, perché devono versare gli alimenti, che spesso diventa insufficiente per far fronte perfino ai bisogni primari. In più
In più?
Nel nostro sistema è sufficiente risultare proprietari di un immobile per non aver diritto all’assistenza pubblica; non avendo un reddito e senza aver magari accumulato risparmi è facile trovarsi in difficoltà finanziarie. Negli ultimi anni, oltre alla mensa, abbiamo rafforzato anche la consegna dei pacchi viveri a domicilio.
Quante persone ricevono il vostro pacco alimentare?
Ogni mese consegniamo circa 200 pacchi viveri a famiglie che ci vengono segnalate dai servizi pubblici territoriali. I pacchi, che variano a seconda della composizione del nucleo familiare, sono integralmente finanziati dall’Opera con un investimento di 70-75mila euro all’anno. Il 15% della composizione di questi pacchi arriva da aiuti alimentari, soprattutto dell’Unione Europea. Ora, con il 2014 ci saranno delle difficoltà perché il 31 dicembre di quest’anno chiude il Fondo Aiuti Alimentari della UE.
Cosa farete per far fronte alle difficoltà?
Il consiglio di amministrazione dell’Opera ha già deliberato che nel 2014 manterremo lo stesso servizio che offriamo oggi. Anche se ci stiamo accorgendo che la domanda diventa sempre più pressante.
In che senso scusi?
Non solo per il numero di persone che arrivano direttamente al centro per chiedere aiuto. Nell’ultimo anno e mezzo è cresciuto in maniera costante il numero di casi che ci vengono segnalati dai servizi sociali del comune con questo tipo di necessità. Nell’ultimo anno e mezzo siamo passati da 165 a 220-230 pacchi mensili. E la media si è ormai assetata a 200.
Chi vi aiuta?
L’Opera ha un budget che va da un milione e 300mila euro a un milione e mezzo. Di quella cifra, 40mila euro circa sono finanziamenti pubblici, provenienti da comune provincia e regione. In anni di grazia quei finanziamenti sono arrivati anche a 80mila; nelle ultime annualità invece il contributo si è notevolmente ridotto. Il resto arriva dai privati.
Chi sono i vostri benefattori?
Il grosso – più del 93% – arriva da circa 4600 donatori, la gran parte dei quali – circa 3500 – fidelizzati, che donano da tantissimi anni. Oggi ci stiamo attrezzando per far conoscere la nostra opera, che non è più così nota come lo era per i vecchi milanesi, e per favorire il turn over di questi sponsor. E c’è anche un altro aspetto sul quale l’Opera si sta mobilitando
Di cosa si tratta?
Una volta recuperata la persona sul piano fisico e dei bisogni primari, è necessario accompagnarla a reinserirsi, a diventare protagonista della fuoriuscita dalla sua condizione di disagio. Qui si incontrano delle difficoltà.
Quali?
Spesso le persone che scivolano nella condizione di nuovi poveri, faticano ad acquisirne consapevolezza. La considerano una condizione transitoria che prima o poi passerà. Spesso sottovalutano la loro situazione e sono portate a ritenere che per qualche meccanismo automatico torneranno a fare quello che facevamo prima.
Cosa farete per aiutare queste persone?
Dobbiamo fare rete con chi si occupa già di queste cose per riuscire a dare una risposta completa ed essere maggiormente efficaci. Ovviamente continuando a fare ognuno quello che sa fare bene. L’Opera da sola non può occuparsi di tutto. Tenendo conto poi che agli enti pubblici la legge conferisce un ruolo particolare nel reinserimento delle persone svantaggiate. Non sto dicendo che il pubblico, in assoluta solitudine, deve dare risposta a questo problema. Ma che svolga al meglio il suo ruolo di catalizzatore e coordini capacità e risorse che potrebbero arrivare anche dal privato.