Pietro Bussolati è il nuovo segretario metropolitano del PD. È giovane, segretario del circolo 02PD nato soltanto da 4 anni e che conta più di 300 iscritti. È renziano e ha vinto. Una novità per il Partito democratico milanese. Non era dato per nulla vincente, perché si scontrava con altri tre candidati di lunga esperienza militante: Arianna Cavicchioli (già consigliere comunale e sindaco di Rho, consigliere provinciale vicepresidente del Consiglio Provinciale, e nel 2010 consigliere regionale), Arianna Censi (sindaco di Locate Triulzi, consigliere provinciale, consigliere comunale di Opera e responsabile del PD della sanità e degli enti locali nella Provincia di Milano) e David Gentili (consigliere di zona, consigliere comunale di Milano dal 2008 e ora presidente della commissione antimafia del Comune di Milano). Bussolati non ha vinto soltanto al ballottaggio con Arianna Cavicchioli, a cui partecipavano soltanto i delegati, ma è il candidato che ha ottenuto più voti tra i settemila tesserati col 33,4% dei voti.
I congressi territoriali sono altro rispetto alle primarie nazionali, ma i dati di Milano hanno sempre un rilievo che va oltre alla dimensione strettamente locale. In attesa delle primarie dell’8 dicembre per scegliere il prossimo segretario nazionale del Partito democratico tra Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella, abbiamo parlato con Pietro Bussolati.
Pietro, ci troviamo davanti quindi un Partito democratico milanese a guida renziana?
Per me non esiste un Partito democratico-renziano e uno non renziano, esiste solo il Partito democratico. Le polemiche di questi giorni sulle tessere rischiano di oscurare questa realtà. Ho il desiderio di sperimentare, prendermi dei rischi, promuovere e valorizzare risorse importanti. Sicuramente c’è da lavorare, ma occorre guardare con coraggio al futuro, con gli occhi di una nuova generazione.
Qual è la tua proposta per il futuro e perché si è rivelata vincente?
La proposta per il futuro è proprio sul ruolo di Milano e di tutta l’area metropolitana, sull’importanza di una realtà che da sempre è anticipatrice. E poi ci sono le sfide nazionali che vivremo sui nostri territori e sulla necessità di un Partito democratico che sappia interpretare il cambiamento. Credo sia stata apprezzata la mia concretezza e la spinta innovativa. Voglio un Partito che si ascolti, che sappia rappresentare la complessità e che decida, che sia influente. Solo con il lavoro potremo davvero realizzare questo progetto.
Alla Leopolda di Matteo Renzi il tuo intervento era intitolato “differenze”. Le varie correnti portano allo scontro o sono una risorsa?
Milano è la metropoli dove convivono differenze e opportunità, è la città del melting pot, Milano ha sempre incluso, ha sempre fatto sintesi delle differenze. Se le correnti sono filiere di persone in cui “aspettando Godot” si sta in fila come alla cassa del supermercato, portano solo allo scontro e all’abbassamento del livello politico, altra cosa invece sono la produzione e la battaglia delle idee che è salutare. Meglio dividersi e poi scegliere piuttosto che qualsiasi unanimismo di facciata. Per superare le filiere occorre parlarsi e decidere insieme le idee da valorizzare, senza pregiudizi o pastoie ideologiche. Le differenze vanno valorizzate, non tollerate, ma devono diventare il lievito delle nostre decisioni. Ci saranno convergenze su cui decidere insieme.
Qual è il ruolo quindi del segretario metropolitano e cosa significa esserlo oggi a Milano?
La mia idea è quella di ascoltare tutti e poi fare insieme una scelta. Ripeto, l’unanimismo non è un bene, tutti siamo coinvolti e responsabili. Si governa un Partito non producendo divisioni, ma sapendo raccogliere con orgoglio e valorizzare le tante ricchezze di cui disponiamo e che possono essere messe al centro della nostra azione politica. Per me è un orgoglio poter rappresentare e guidare una grande comunità democratica nella metropoli capofila delle sfide del futuro. Una grande responsabilità che deve essere necessariamente condivisa.
Perché per un giovane è ancora bello e interessante far politica? Qual è la tua esperienza in merito?
Serve il coraggio. Io ho sempre fatto politica, fin dagli anni del liceo. Ho sempre fatto politica militante, sul territorio, alzando e abbassando tutti i giorni “la cler” del mio circolo. Ci sono tanti modi con cui le generazioni più giovani vivono il bisogno di comunità e cambiamento. La politica fatta dal basso, sul proprio territorio è stupenda perché ci consente di innalzarci dai problemi quotidiani, agire per cambiare le cose che non vanno, rischiare, condividere progetti e pensieri. Fare politica fa bene perché ti abitua a vivere in un mondo complesso, fatto di tante idee, pensieri, che è necessario giudicare e quindi impegnarsi in prima persona.
(Irene Pasquinucci)