E’ da un pianeta piatto ed esclusivamente vegetale, insomma da un pianeta che non c’è, e da un’agricoltura senza zootecnia, insomma da un’agricoltura che non esiste, che l’Esposizione Universale di Milano 2015 si attende energia per la vita.
I 15 padiglioni tematici dell’Esposizione, strumento-chiave della sua proposta culturale, sono infatti rispettivamente dedicati a: Frutta e Legumi; il Mondo delle Spezie; Bio-Mediterraneo: Salute, Bellezza e Armonia; Isole, Mare e Cibo; Agricoltura e Nutrizione in Zone Aride; Riso: Abbondanza e Sicurezza; Cacao: il Cibo degli Dei; Caffè: il Motore delle Idee; Cereali e Tuberi: Antiche e Nuove Colture. Sia la sequenza dei temi che la loro immaginosa formulazione si raccomandano all’analisi di psicologi sociali eventualmente interessati allo studio del proverbiale “immaginario collettivo” di coloro che li hanno formulati. Vi si intravvede una forte dipendenza dall’aristocratico esotismo del National Geografic Magazine nonché dai raffinati supplementi in carta opaca di Repubblica e del Corriere della Sera, peraltro così vicini ai dépliant in carta patinata delle agenzie specializzate in esclusivi e costosi viaggi di turismo intercontinentale “intelligente”.
Non è però questo che qui ci interessa approfondire, quanto la sorprendente distanza tra il pianeta dell’Expo Milano 2015 e il pianeta della realtà: un divario che peraltro, qualora lo si voglia, si farebbe ancora in tempo a colmare.
Le aree montane ricoprono circa un quarto della superficie terrestre, sono abitate da un quinto della popolazione mondiale e da esse dipende il rifornimento idrico di oltre la metà degli abitanti del globo. Venendo più vicino a noi, è montuoso o di alta collina il 72 per cento del territorio italiano e il 40 per cento di quello lombardo. Oggi più che mai, in un’epoca in cui l’urgenza del riequilibrio dell’insediamento umano sul territorio fa diventare di grande attualità la riscoperta delle “terre alte” come risorsa e non più come problema, che Expo Milano 2015 le abbia ignorate è davvero increscioso.
Non meno incresciosa, se fosse possibile, è l’altra colossale distrazione di Expo, quella relativa appunto alla zootecnia. E’ una distrazione già sorprendente per così dire a corto raggio, considerato che la Lombardia, con oltre un milione e mezzo di capi di bovini e oltre 4 milioni di suini, è di gran lunga il maggior produttore di latte e di carne d’Italia; ma tanto più lo diventa se lo sguardo si allarga al resto del mondo. Molte delle maggiori agricolture e agro-industrie del globo, dall’Australia agli Stati Uniti, dal Brasile all’Argentina e all’Uruguay, sono largamente e spesso prevalentemente basate sull’allevamento, che comunque ha grande tradizione e presenza anche altrove.
Tra l’altro sin dal Medioevo in Europa, e particolarmente in Italia, partendo dalla valorizzazione delle carni e del latte si avviarono delle maestrìe che – scavalcate ma non travolte dalla moderna industria alimentare – oggi riemergono con successo, trovando spazi in un mondo di consumatori nuovamente interessati ad alimenti artigianali di qualità e di valore anche identitario.
Con buona pace del cacao “cibo degli Dei” o del pur affascinante “Mondo delle Spezie”, che dire allora del mondo – forse meno affascinante agli occhi dell’intellighenzia urbana, ma non per questo irrilevante – dei 205 milioni di bovini del Brasile, degli oltre 94 milioni degli Stati Uniti, dei quasi 50 milioni dell’Argentina? Oppure dei quasi 73 milioni di ovini dell’Australia e degli oltre 32 milioni della Nuova Zelanda? Lo sviluppo della capacità di procurarsi carne con l’allevamento e non più solo con la caccia, e la scoperta della possibilità di trasformare un alimento importante ma non conservabile come il latte in un cibo a lunga conservazione come il formaggio, furono tappe fondamentali dello sviluppo umano. E lo stesso dicasi, con particolare riguardo alla civiltà occidentale, per quanto concerne la geniale valorizzazione e conservazione della carne suina, grazie a cui già sin dal primo Medioevo l’uomo europeo poté superare senza sfinirsi i rigori dell’inverno: un’invenzione di importanza decisiva, non a caso subito celebrata nel ciclo dei “Mesi dell’Anno” di cui l’Antelami ci lasciò testimonianza esemplare nel battistero di Parma.
Auguriamoci dunque che Expo Milano 2015 rimedi al più presto a queste sue due colossali distrazioni.