Una Lombardia indipendente in un’Europa libera e plurale. Così potremmo riassumere le parole di Marco Bassani in questa intervista a ilsussidiario.net. Già allievo di Gianfranco Miglio e ora professore di Storia delle dottrine politiche a Milano, Marco Bassani si è candidato come indipendente alle regionali lombarde con il movimento di Oscar Giannino (Fare per fermare il declino) impegnandosi in un progetto che pone al centro il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Lo incontriamo in occasione di due conferenze stampa, a Milano e Brescia, organizzate insieme all’associazione Diritto di Voto e ai movimenti politici Indipendenza Veneta e Unione Padana.



Professor Bassani, che cosa presentate in questa occasione?

Dalla Lombardia parte un’iniziativa a sostegno dell’indipendentismo veneto, che si colloca nella scia di quello scozzese e catalano. Ma non si può capire tale iniziativa se non si ricorda che in Veneto, il 28 novembre scorso, si è messo in moto un processo volto a ottenere un referendum sull’indipendenza. Il Consiglio regionale ha infatti approvato una mozione che impegna i presidenti di Giunta e Consiglio a mobilitarsi – anche a livello comunitario e internazionale – affinché sia rispettato il principio sancito dall’Onu dell’autodeterminazione dei popoli. I giornali locali hanno molto parlato della cosa e lo stesso la stampa estera, ma il silenzio dei media nazionali è stato imbarazzante. Anche per questo insieme all’associazione Diritto di Voto si è promosso un manifesto sottoscritto da eminenti intellettuali: da Pascal Salin a Xavier Sala-i-Martin, a Hans-Hermann Hoppe, Don Livingston e altri ancora. Il testo – on-line in inglese, italiano, veneto e catalano – appoggia la richiesta di un referendum e ora può essere sottoscritto da chiunque.



Ma perché ai lombardi dovrebbero stare a cuore l’indipendenza del Veneto?

Come rilevava Ortega y Gasset, il liberalismo implica generosità. In questo senso, se le istituzioni lombarde sostenessero le rivendicazioni del Veneto e ne favorissero l’autodeterminazione, i lombardi che amano la libertà dovrebbero gioirne.Oltre a ciò, il giorno in cui in Veneto sarà indetto un referendum sull’indipendenza la possibilità di avere un analogo voto in Lombardia si farà molto più concreta. L’altruismo converge con una valutazione dei propri (legittimi) interessi. In un’Europa in cui gli Stati nazionali sono destinati a lasciare il posto a istituzioni più vicine ai cittadini, incoraggiare le rivendicazioni venete o catalane significa aiutare questa evoluzione.



Come giudica il rapporto tra il pensiero di Gianfranco Miglio, di cui Lei è stato allievo, e quanto la Lega ha fatto nei due decenni passati?

Quando su Il Sole 24 Ore iniziò a sostenere le battaglie leghiste, Miglio scelse di schierarsi a difesa di una popolazione, quella lombarda, che giudicava tanto dedita al lavoro quanto incapace di comprendere le leggi della politica. Al di là dei rapporti personali (poi divenuti pessimi) con Umberto Bossi, egli fu presto deluso dallo scarso interesse dei leghisti per la logica federale. Il risultato è che negli ultimi vent’anni la Lega è stata più volte al governo e nonostante questo l’economia settentrionale ha subito un terribile salasso. Solo negli ultimi dieci anni la Lombardia ha avuto un residuo fiscale (la differenza tra quanto paga e il costo dei servizi ricevuti) valutabile intorno ai 500 miliardi di euro: un quarto dell’intero ammontare del debito pubblico, tanto per intenderci.

Quello delle macroregioni è un tema migliano per eccellenza…

Miglio pensava alle macroregioni in termini strategici: per coalizzare il Nord attorno a interessi comuni e, in seguito, per definire un’Italia a struttura “direttoriale”, dove ogni area disponesse di un potere di veto. Purtroppo oggi si usa quel termine per assicurare ancora un po’ di potere a un apparato di partito. E tutto ciò nonostante il fallimento epocale del bossismo. Tornare a Miglio significa guardare a quanto succede in Occidente e immaginare una strategia che muova dalle regioni esistenti: Catalogna, Veneto, Scozia, Fiandre, ecc. Solo da tali realtà può venire la spinta a superare gli Stati nazionali e le devastazioni che hanno generato. Per giunta, il federalismo implica comunità indipendenti determinate a sottoscrivere un patto: un foedus. Ma chi in questi anni ha parlato di federalismo neppure è stato sfiorato dall’idea che si dovesse dare piena libertà alle realtà locali- alle regioni, in particolare – lasciando che fossero loro ad avviare un eventuale processo di federalizzazione. E nessuno ha posto in discussione l’ipoteca giacobina incarnata dall’articolo 5 della Costituzione, che parla di una Repubblica “una e indivisibile”. Prima di riaprire una stagione federalista occorre arrivare alla sovranità piena per le attuali regioni che la vorranno. 

Se l’Ottocento è stato il secolo del nazionalismo, ora siamo nell’epoca dell’unificazione europea. Come valuta le recenti posizioni in materia assunte dal britannico David Cameron, che invece ha immaginato un referendum sull’uscita dalla Ue?

L’iniziativa di Cameron ha il merito di mettere in discussione la pretesa sacralità dell’Unione. Invece il processo di centralizzazione dei poteri non può essere sottratto dal dibattito pubblico. È pur vero che l’uscita dei britannici potrebbe favorire un’Europa ancora più unita: il rischio esiste. È però anche possibile che altri seguano la strada di Londra e che – assieme a svizzeri e norvegesi – prenda corpo una seconda Europa, strutturata sul mercato e non sulle burocrazie illuminate. Un’Europa siffatta indicherebbe la retta via a quel mummificato cartello di Stati nazionali che è la Ue.

Tornando all’Italia come pensa che il Sud, senza gli aiuti del Nord, possa farcela? 

Intanto, proprio a causa degli aiuti del Nord il Sud sta morendo. La storia italiana insegna che unità e assistenzialismo non hanno mai favorito il Mezzogiorno. Tutto questo era già chiaro a Luigi Sturzo, oltre un secolo fa, che non a caso unì una forte rivendicazione d’autogoverno politico per le comunità del Sud e una forte avversione allo statalismo. D’altra parte non c’è una sola società che abbia avuto successo grazie agli aiuti pubblici. Mentre la solidarietà di privati e associazioni è mirata, condizionata, in cerca di risultati, l’assistenzialismo statale produce effetti devastanti. Nessuno è mai uscito dal sottosviluppo per mezzo dell’assistenza pubblica. In ogni caso, i trasferimenti di risorse che stanno ormai facendo collassare l’apparato produttivo del Nord, sono non soltanto privi di qualunque giustificazione morale, ma anche destituiti di qualsivoglia dimostrazione di carattere utilitaristico. Danneggiano il Nord e nessuno pensa realmente che siano utili al Sud.

 

(Giuseppe Sabella)