La Lombardia si riconferma terra di moderati, di conservatori. Terra di centrodestra, insomma. I risultati delle elezioni di Camera e Senato prima, e della Regione poi ne danno certezza. Con buona pace di analisti, sondaggisti e commentatori “che mi fanno sorridere quando tentano di paragonarla all’Ohio, semmai la Lombardia è come la California, che ha fatto la differenza quando da eterna democratica è diventata repubblicana”, esordisce Nicola Pasini, docente di Scienza politica, Governo locale e Sistemi politici amministrativi all’Università di Milano. Lo raggiungiamo per un’intervista a scenari appena consolidati, in contemporanea alla presa di possesso della vittoria da parte del neo governatore Roberto Maroni.
Una Lombardia che non ama le fughe in avanti, quindi, o che perlomeno non ama le brusche virate…
Certo, la sua è una popolazione, un elettorato che ama la concretezza e la continuità. La Lombardia non è mai stata una regione in bilico, l’ago della bilancia come è invece lo stato dell’Ohio. Nella prima Repubblica, a far man bassa era la Democrazia Cristiana; nella seconda, il Pdl e la Lega, sempre elettorato moderato-conservatore. Quindi la vittoria del centrosinistra sarebbe stata un segno forte di discontinuità con un sentire profondamente radicato, un’eccezione. E infatti non si è verificata.
Eppure, le condizioni per una competizione alla pari c’erano…
Le condizioni per una competizione alla pari tra centrodestra e centrosinistra c’erano tutte. La Lega era destabilizzata, con Maroni che aveva preso il posto del leader Bossi da pochi mesi e alle prese varie vicissitudini anche di carattere giudiziario (la vicenda del tesoriere Belsito, Bossi Junior, il “cerchio magico”…). Il Pdl vedeva la giunta Formigoni logorata dopo 17 anni di comando e costretta a chiudere anticipatamente la legislatura. Insomma, il centrodestra si trovava nel momento peggiore di performance, sia il Pdl che la Lega ne hanno subito il contraccolpo, ma il loro elettorato ha dimostrato una consistenza difficile da scalfire.
Il quadro che ha tracciato avrebbe fatto pensare che ci sarebbe stata un’emorragia di voti verso il centrosinistra o verso il movimento di Grillo.
Attenzione, l’elettorato di Pdl e Lega è un elettorato sociale, di gente che fa, che si attiva, che è vivvace, produttiva. E nel momento della disaffezione, della delusione questo elettorato non va a votare, oppure dà un voto di protesta. È un elettorato disincantato, congelato direi. Certo non in uscita. Vota magari Grillo,ma non il centrosinistra.
Perché non il centrosinistra?
Perché il centrosinistra non ha saputo intercettare i suoi bisogni, la sua richiesta politica. Prima dicevo che le condizioni per una competizione alla pari c’erano, come mai nel passato. Ma il centrosinistra non ha saputo approfittare dell’occasione, non ha saputo dire chiaramente quale fosse il suo progetto, quale regione avrebbe costruito.
Centrosinistra perdente, ma Partito Democratico leader in consiglio regionale. Come la mette con questa discrepanza?
Il Pd ha fatto terra bruciata attorno a sé, basta vedere i risultati delle altre liste collegate. E sembra non crederci neanche lui alla possibilità di un successo. Come spiegherebbe allora la proposta – poi rientrata dopo le proteste di alcuni esponenti lombardi – di candidare alla Camera il segretario regionale Martina proprio quando si profilava la possibilità di conquistare Palazzo Lombardia? Come convincere gli elettori della possibilità di vittoria quando non se ne era convinti?
Quanto ha pesato la caratura dei due candidati principali alla carica di presidente?
Umberto Ambrosoli aveva tutte le carte in regola come figura specchiata, storia personale, impegno professionale e civile, ma ha dato l’impressione – anche con la sua incertezza iniziale a scendere in campo – di non essere molto convinto, quasi non in sintonia con l’incarico futuro. Sconosciuto ai più, non ha avuto un effetto trascinante. Maroni, invece, politico a tutto tondo, già in pista da anni, ha giocato la sua carica carismatica e ha impostato una campagna efficace che gli ha permesso di tenere a bada la base contraria all’accordo con Berlusconi, smussare gli attriti interni determinanti dalla recente leadership, calare gli assi di due slogan d’effetto: “Prima il Nord” e “Il 75% delle tasse rimane qui”.
La campagna del centrosinistra toccava però temi assai sentiti in questo periodo: moralità, trasparenza, libertà, lavoro, partecipazione…
Certo, ma è mancato il progetto. O perlomeno non è stato spiegato in maniera tale da essere compreso. Questione di metodo, anche. Penso si sia sottovalutata la differenza economica, culturale, direi anche antropologica tra Milano e il mondo non metropolitano, tra il capoluogo e il resto della Lombardia. Milano è in Lombardia, non è la Lombardia. E forse gli strateghi della campagna del centrosinistra se lo sono un po’ dimenticati volendo esportare la “primavera arancione” tout court, senza declinarla nelle modalità proprie dei passi e delle valli. Una realtà con riti, tempi, bisogni, desideri tutti suoi.
(Daniela Romanello)