Il rilancio del “sistema Italia” passa anche per una revisione del ruolo e della robustezza delle sue componenti territoriali, a cominciare dalle sue 20 espressioni regionali. Già a partire dagli anni ‘70 validi studi avevano evidenziato l’eccessiva frammentazione, troppo costosa dal punto di vista della gestione amministrativa e politica, della soluzione regionale italiana.



Oggi il tema viene riproposto in positivo, ma non più da “divagazioni” accademiche come quelle della Fondazione Agnelli, bensì dalla “concreta” Europa che sta incoraggiando la formazione di “euroregioni”. Sembra a chi scrive apprezzabile l’attuale proposta di riorganizzazione del sistema regionale italiano basata sulla differenziazione al suo interno tra blocchi relativamente omogenei e sinergici dal punto di vista delle dinamiche economiche e quindi sulla promozione del blocco più avanzato, quello settentrionale, a “competitor” privilegiato in Europa e nel mondo in nome del Paese Italia. Meno rilevante è la indicazione precisa di quali delle attuali Regioni settentrionali dovrebbero entrare a far parte del “blocco”. Alcuni documenti usciti tempo fa parlavano di ben sei componenti: Piemonte, Lombardia ,Veneto, Friuli VG, Liguria, Emilia Romagna; altri lasciavano fuori Liguria e Friuli, ipotizzando quella che veniva battezzata “PLEV”.



Oggi l’indicazione pressoché esclusiva, fortemente sponsorizzata dalla Lega Nord, punta alla Macroregione formata dalle tre Regioni transpadane Piemonte Lombardia Veneto più il Friuli Venezia Giulia.

A prescindere dalla provenienza della sponsorizzazione, i lati positivi della Macroregione PLVF, come del resto quelli della PLEV, emergerebbero con forza sia rispetto alle ipotetiche Macroregioni residuali del Paese (Macroregione Centro? Macroregione Sud?) che rispetto alle “eccellenze” riscontrabili Oltralpe. Un primo parametro positivo sarebbe dato dalla più bassa presenza del settore pubblico nel PIL, che gli eviterebbe le future sofferenze derivanti dal fiscal compact europeo. Un parametro di efficienza collegato è rappresentato dal numero di dipendenti pubblici x 1000 abitanti, che sarebbe assai più basso della media nazionale.



Accanto all’efficienza, l’equità: la somma delle entrate tributarie prelevate nella Macroregione concorrerebbe in fortissima misura a bilanciare i disavanzi maturati da tutte le Regioni del Mezzogiorno, comprese quelle a statuto speciale, e quindi contribuirebbe in maniera rilevante al sostegno della perequazione nazionale.

Fermo restando che non tutte le attuali funzioni statali potrebbero essere devolute alle Macroregioni, chi scrive ritiene – dopo avere riflettuto sulle grandi potenzialità di scala, di organizzazione, di soluzione dei problemi, che essa avrebbe sugli ambiti sotto elencati – che per la Macroregione del Nord una apposita rielaborazione costituzionale dovrebbe prevedere un regime di specialità in materia di: i) trasporti; ii) territorio; iii) politica economica di sostegno e sviluppo; iv) infrastrutture; v) ambiente; vi) ricerca scientifica e tecnologica; vii) istruzione e formazione professionale. 

Trascurando la prospettiva della secessione, sicuramente deleteria per il Paese, la Macroregione del Nord si presterebbe bene al disegno della (ventilata) Euro-regione del Nord- Est , in quanto esibirebbe: 1) la massa critica necessaria per competere con altre Macroregioni mondiali ; 2) un livello di conoscenze tecnologiche e una dimostrata capacità di innovazione tra i più elevati d’Europa; 3) una struttura del PIL (come sopra ricordato) non “appesantita” da una componente pubblica pletorica e inefficiente; 4) una elevata coesione interna in fatto di collegamenti, mobilità,infrastrutture comuni. Più quest’area si mostrerà forte e strutturata, più sarà in grado di far funzionare anche il resto del Paese.

Tutto fa ritenere che essa si trasformerà in un “motore” potentissimo, in grado di trascinare fuori dalle secche il resto d’Italia, a cominciare da quelle aree che, sbagliando, potrebbero ritenerla una sorellastra egoista e ingiustamente privilegiata.