Il Teatro Litta mette in scena lo spettacolo “Piccolo Uovo”, che racconta storie di “famiglie diverse”, tra cui quelle composte da genitori dello stesso sesso, e invita ad assistervi scuole materne e primarie, statali e non, della città. Alla prima del 12 marzo sono previsti 180 bambini e alla replica circa 90. Non voglio soffermarmi sul tema della vasta gamma di famiglie che lo spettacolo vorrebbe proporre alla libera scelta dei piccoli spettatori, come se questa fosse una opzione contemplata dalla realtà. Il Consiglio comunale non è la sede adeguata per discutere di questo. Specie nel caso di una legittima scelta, per così dire, artistica di un teatro.



Quello che da un punto di vista politico può essere rilevato è l’importanza di pubblicizzare le scuole e gli insegnanti che hanno deciso di portare i propri alunni a vedere lo spettacolo. Questo per garantire la piena libertà di scegliere la scuola dove mandare i propri figli per i genitori che in questi mesi sono impegnati nelle pre-iscrizioni. È un diritto dei genitori essere edotti circa la proposta educativa di cui saranno oggetto i propri bambini. Rientrerebbe inoltre nel compito di “servizio” proprio della pubblica amministrazione garantire queste informazioni.



Perché? Perché la vera educazione è sempre un’educazione alla critica, intesa non in senso negativo, ma come il rendersi ragione di quanto ricevuto da un passato e da una tradizione, di cui la famiglia e la comunità d’appartenenza ne sono il terminale ultimo. L’educazione, pertanto, non può mai essere neutrale. La sua specificità sta nel trasmettere un patrimonio di valori e pratiche che rimanda sempre ad una precisa visione del mondo e della storia.

Che non si dia mai un’educazione neutrale non è semplicemente una constatazione – per certi versi anche banale -, ma un vero e proprio modo di concepire la persona: essa non è una monade, bensì un essere strutturalmente in relazione (innanzitutto con i genitori che l’hanno messa al mondo, i fratelli, i nonni, i parenti, gli amici, i compagni di scuola, gli insegnanti, ecc.), insomma è sempre “co-esistente”. I suggerimenti pedagogici che ne derivano indicano la direzione di un “dialogo creativo”, per usare le parole della studiosa Monica Mincu dell’Università di Torino, con la tradizione e le pratiche ricevute.



Una malintesa idea di laicità, che si traduce in ambito educativo nel mito della scuola unica, o “pubblica” nel senso unilaterale di “statale”, lascia intravvedere invece una concezione della persona come atomo, astratta e avulsa da ogni contesto, così da “riempire” questa con contenuti valoriali distinti da quelli tramandati dalla famiglia e dalla comunità d’appartenenza e indifferenti nei confronti della vita privata degli alunni. 

La vicenda del Teatro Litta, legata alle parole dell’Assessore Majorino che un anno fa auspicava l’adozione del testo “Piccolo Uovo” nelle scuole della città, fa emergere proprio questa seconda concezione che, oltre a sottolineare un’accezione distorta di laicità, risulta dannosa nella sua pretesa di educare lo studente in modo distinto dalla famiglia d’origine e indifferente alla sua vita privata. E risulta dannosa proprio in vista di quel dialogo tra culture, così necessario in una società sempre più plurale come la nostra. 

Amy Gutmann, già rettore dell’Università della Pennsylvania e dal 2009 nominata Presidente della Commissione di Bioetica della Casa Bianca da Barack Obama (quindi tutt’altro che una reazionaria conservatrice) ha scritto: “I bambini non apprendono a discernere la differenza in base ad un’educazione imperniata sulla neutralità tra i modi di vita”, e aggiunge: “il bene dei bambini riguarda non soltanto la libertà di scelta, ma anche la capacità di identificarsi con il bene della loro famiglia e della società” (Gutmann, 1987).