L’Italia è un paese davvero strano. Per anni ha mediaticamente demonizzato l’idea di famiglia, ha idealizzato un modello sociale all’insegna dell’individualismo e del disimpegno rispetto a un rapporto di coppia. Da un po’ di tempo in qua invece la famiglia sembra tornata improvvisamente in auge e i media tornano ad applaudire addirittura alle figliolanze numerose, e addirittura addirittura ad applaudire le esperienze di fedeltà di coppie. 



Era ben l’ora, visto che il disastro demografico causato dalle scelte della politica e dalle posizioni delle cultura egemone lo stiamo pagando tutti sulla nostra pelle, e ancor più lo pagheranno le generazioni a venire. Peccato che questo ritorno di fiamma nei confronti della famiglia sia orientato quasi esclusivamente solo su un tipo di famiglia: quella con genitori dello stesso sesso. Così abbiamo scoperto che alle scuole di Milano viene proposto uno spettacolo ricavato da un libretto scritto da Emanuela Pardi, mamma lesbica di ben quattro figli (complimenti) e illustrato da Altan. La cosa in sé non mi sorprende e francamente neanche mi sembra il caso di enfatizzarla, perché ad enfatizzare situazioni come queste ci pensano già ad abundantiam i media, che cercano solo il “crociato” di turno per dar sfogo alla loro indignazione. 



Detto questo, mi sembra invece il caso di chiarire alcune questioni elementari. Non mi pare proprio che l’Italia sia un paese affetto da omofobia, così come non mi pare di vivere in un paese intollerante. Non credo che possa essere definito “omofobico” un paese che ha eletto due persone dichiaratamente omosessuali alla presidenza di due grandi regioni del sud (sì, il sud retrogrado e cattolico…); né quello che ha impedito per legge la fecondazione eterologa a tutti (anche alle coppie etero) per ragioni che si possono discutere, ma che mi sembrano molto civili. Piuttosto mi chiedo perché non si parli mai, in questa visione così aperta e pluralista, dei diritti di altri tipi di famiglie che certamente si trovano in condizioni di marginalità e di difficoltà. 



Mi riferisco, ad esempio, alle famiglie che tengono in casa un figlio disabile, che eroicamente ogni giorno devono combattere con un contesto concretamente indifferente se non ostile. Sono tante, molto più di quello che si creda. 

E nel panorama delle famiglie, sempre più vario per tipologia, in genere ce le si dimentica. Eppure esprimono fattori di generosità umana che sarebbero sì molto educativi e formativi per un ragazzino; ed esprimono anche un’apertura all’altro assolutamente disinteressata, importante in vista costruzione di una società che non discrimini nessuno. Ma forse famiglie così difficilmente entrano nei canoni della nuova morale politicamente corretta, perché non si può certo pensare che nei loro casi il figlio sia accreditabile come “diritto”. Un figlio per loro è irriducibilmente un “dono”, e solo questa certezza permette loro di combattere con tanta dedizione e intelligenza le rispettive battaglie quotidiane contro le tante discriminazioni.

Tutto questo per dire come l’operazione Piccolo uovo alla fine più che moralmente discutibile (almeno dal punto di vista molto personale come quello del sottoscritto, “immoralista” nato), sia un’operazione sostanzialmente a misura dei nuovi benpensanti. Ai quali è bene ricordare che la civile Olanda che ha permesso a Francesca Pardi di farsi fecondare e di avere quattro bei bambini, è anche il paese che negli scorsi giorni ha chiesto alla Commissione europea di non coprire le spese mediche degli immigrati comunitari che non abbiano mai lavorato nei suoi confini. Con buona pace delle loro famiglie… Così funzionano le cose nel mondo dei benestanti benpensanti.