Che il processo per la morte del tassista milanese Luca Massari fosse qualcosa di anomalo, lo si era già capito a maggio dello scorso anno quando, davanti al pm, su una ventina di testimoni chiamati a deporre se ne presentarono solamente quattro. Ma la recente sentenza che condanna Stefania Citterio – dopo essersi resa responsabile di concorso in omicidio – solamente a un risarcimento pecuniario ai parenti della vittima ha un che di assurdo. Gli inquirenti parlarono di un “inquitante livello di omertà”, riguardo alla morte dell’uomo, ucciso nella periferia sud del capoluogo lombardo. Sembrava infatti che coloro che avevano assistito ai fatti fossero stati minacciati e costretti a tenere la bocca chiusa, in una logica che a molti ha fatto tornare in mente gli anni ’70. La stessa dinamica dell’aggressione a Massari non fu mai del tutto chiarita: il tassista, la sera del 10 ottobre 2010, fece scendere dalla sua auto quello che sarebbe stato il suo ultimo cliente in via Ghini e, ripartito, investì per errore un cane che camminava, senza guinzaglio, a lato della padrona, Stefania Citterio, appunto, all’epoca dei fatti 26enne, ma lungo la carreggiata. Luca si fermò per scusarsi ma venne subito assalito dal fratello della ragazza, Pietro, e dal ragazzo di lei, Morris Civarella, che iniziarono a prenderlo a calci e pugni. Furono in tanti ad assistere alla scena e nessuno mosse un dito a favore dell’uomo che, con milza, denti e cranio sfondato finì in un coma dal quale non sarebbe mai uscito, per morire, poi, a 45 anni, il mese successivo.
Adesso, dopo due anni e mezzo, la sentenza shock che fa evitare alla Citterio il carcere, dopo appena 10 mesi dietro le sbarre per minacce, limitando le sue responsbilità all’ambito civile e non penale, intristisce tutti quelli che si erano battuti per far riconoscere la sua compartecipazione alle percosse mortali ai danni dell’uomo che investì il cane che lei, irresponsabilmente, portava in giro sciolto. Il fratello è invece stato condannato a 13 anni di reclusione (10 in meno di quelli chiesti dall’accusa) e il fidanzato aveva già preso 16 anni con il rito abbreviato.