Si è definitivamente chiusa l’epoca Formigoni in Lombardia. Molti elettori si sono motivati nel voto a Maroni, con la speranza che il modello di governo avrebbe avuto una continuità, ma Maroni e Mantovani hanno voltato pagina, il ricambio del personale sia tecnico che politico è totale e i riferimenti al passato sono tutti del tipo “cambieremo”.



Il buon governo della Lombardia, definizione dell’epoca Formigoni, è caduto definitivamente prima delle elezioni. Si può far risalire la caduta con l’azione di Maroni che ha fatto mancare il sostegno a Formigoni, ma il problema stava a monte. L’errore dell’egemonia come metodo di gestione del potere ha mostrato il suo limite: uno schema di comando forte nel suo equilibrio interno, ma incapace di generare radici profonde fra politica e popolo, mentre il partito di sostegno, il PdL, mostrava tutta la sua inconsistenza nell’individualismo che ha portato parecchi casi di uso personale del potere. Per questo alle dimissioni di Formigoni è come si fossero caduti tutto e tutti, una specie di gioiosa macchina da guerra, come le forme simili del sistema di potere del PCI.



Maroni ha iniziato dalla dichiarazione che il suo ufficio non sarà più al 35° piano, ma in basso, “vicino ai cittadini”. Ha poi respinto l’idea di far continuare il lavoro nella sanità a Melazzini, accettando invece di dare la delega a Mantovani, il quale ha già detto che intende fare un vasto ricambio fra ASL e ospedali. Ora si tratta di capire che tipo di qualità potrà avere questo cambiamento.

Interessante il gesto inaugurativo della Giunta, con l’intestazione di una sala in memoria di Marco Biagi. Come riferimento culturale è un buon segno.

Le deleghe alla Aprea a Istruzione e Lavoro, e a Melazzini le Attività produttive, fanno pensare al riformularsi di forme di sussidiarietà e dunque di ascolto degli operatori nella scuola, nelle piccole aziende e nella formazione professionale.



Molto problematico sarà invece il settore Famiglia, volontariato e solidarietà sociale, affidato a Maria Cristina Cantù, che non ha brillato, quando ha gestito la ASL di Milano, nella gestione della struttura pubblica.

Certamente chiuso in sé sarà il settore dell’agricoltura, affidato al leghista Fava, che manterrà il corporativismo di chi ha barato sulle quote latte e sui rimborsi europei. Preoccupa la presenza di un assessorato alla Sicurezza e immigrazione, affidati a Simona Bordonati , leghista di Brescia. In tutte e due i campi, infatti, la Regione non ha poteri ma si tratta di applicare leggi nazionali. Ma la regione dovrebbe avere il problema immigrati nel settore solidarietà sociale, invece la mentalità leghista accorpa il tema con la sicurezza facendo passare l’idea che l’immigrazione è una fonte di pericolo. Cosa che ha i suoi lati veri, ma solo se le leggi non vengono applicate e non si regolano i flussi. Per altri assessorati non conosco le persone proposte, mi resta quindi da commentare la sostituzione del direttore generale della regione, Nicola Sanese. Maroni lo sostituisce con un leghista di fiducia, ma non considera la questione della macchina complessa della Regione Lombardia, quindi credo che sarà molto difficile avere un buon controllo dell’apparato. Maroni si renderà conto presto di come il sistema di potere delle sinistre sia ancora presente nell‘apparato regionale, perché persino Sanese aveva contrattato lasciando parti dell’apparato non aderenti al governo regionale.

Comunque la vera cosa da guardare sarà il rapporto fra Maroni e Mantovani, tutto subalterno al rapporto con Berlusconi. Mantovani esegue il mandato di Berlusconi, che per ora si limita all’ordine di sostituire la macchina di Formigoni, perché al presidentissimo piacciono le vendette, e Formigoni era quello che aveva tentato un rapporto con Monti.

Maroni scalpita, vorrebbe ricollocarsi in posizione autonoma fra destra e sinistra, in nome della causa del Nord. E la sinistra manda segnali di disponibilità. Ma Maroni deve stare attento, la Lega ha un grande patrimonio con il governo di Piemonte, Veneto e Lombardia, e il mantenimento di questo dipende da Berlusconi.

Maroni vuole cambiare la Lega, portandola fuori dalla mentalità demagogica di Bossi. Meno acqua del Po per il rito sacro della Padania, e più legame invece con il territorio. Ma la questione vera è che la forma partito, nella spinta attuale al cambiamento della politica, è messa in discussione. C’è la necessità di costruire un ponte di connessione fra istituzioni e popolo, che non si risolve creando il proprio popolo, non esistono popoli generati dalla politica, e di questo se ne accorgerà anche Grillo. Bisogna invece ricostruire la politica e la progettualità è importante.

La macroregione del Nord è il super progetto di Maroni, ma come si pone verso l’Italia? Sarebbe interessante se si parlasse di Europa delle regioni, e quindi della macroregione del Nord Italia come proposta di identificazione delle similitudini regionali nell’Europa, verso una federazione di grandi regioni. Ma questo sarebbe una vera Europa politica, dalla quale siamo ancora distanti. Dunque Maroni contraddizione nazionale o utopista astratto?

Molto dipende da quello che diventerà il PdL, oltre lo schema del potere da tenere a tutti i costi, giorno per giorno, che è la vita stessa di Berlusconi. Dopo il Cavaliere l’uomo che ha capacità progettuale è proprio Maroni, ma lui dovrebbe diventare un politico nazionale, ovvero un non leghista. Sarà tutta da vedere. Intanto a me resta da osservare con interesse se la brava persona Maroni sarà migliore della brutta cultura leghista. Io punto sempre sulle persone, ma tenendo conto di tutti i fattori cerco la produzione di progettualità utile per i problemi del nostro Paese.