Il Centro di Aiuto alla Vita dell’Ospedale Mangiagalli di Milano da giugno rischia di chiudere. Complice la mancanza di fondi, con il Comune che non versa un solo euro per sostenere le mamme che vorrebbero mettere al mondo un bambino. Sei donne su dieci abortiscono per motivi economici, anche perché spesso non trovano nessuno disposto a dare loro una mano. Presto neanche il primo Cav nato a Milano nel 1984 sarà più in grado di aiutarle. Ilsussidiario.net ha intervistato Paola Bonzi, colei che lo ha fondato aiutando 18.770 donne a non abortire.
Diciannovemila donne è un numero imponente. A ciascuna di loro corrisponde un bambino che siete riuscite a salvare?
Noi non parliamo mai di salvare i bambini, perché ci piace dare il merito di questa scelta alle madri che li hanno fatti nascere. Ne sono nati però sicuramente più di 18mila. Ciascuno di loro è una storia, spesso commovente e inaspettata.
Ce ne vuole raccontare qualcuna?
Ogni giorno vediamo tra cinque e dieci donne a rischio di aborto, ed è difficile scegliere quale storia sia la più importante. Le racconto solo l’ultima in ordine di tempo. Una ragazza di 24 anni, studentessa della facoltà di Veterinaria, è venuta da me all’11esima settimana di gravidanza. Alla fine ha deciso di tenere il bambino e noi le abbiamo fornito gli aiuti che le servivano. L’abbiamo inserita nel fondo Nasko regionale, che allora prevedeva contributi da 250 euro al mese per 18 mesi, e abbiamo fatto un’integrazione con i nostri fondi perché questa somma non le bastava.
Succede spesso che gli aborti avvengano per motivazioni economiche?
Sì, le statistiche ci dicono che ciò accade in sei casi su dieci. Una ragazza che resta incinta perde spesso il lavoro perché il suo datore di lavoro non vuole responsabilità. Le storie con cui abbiamo a che fare lo documentano. L’altro giorno mi ha richiamato la studentessa di veterinaria per dirmi che era nata la sua bambina, e ora che sta per compiere l’anno gli aiuti regionali finiranno. Mi ha chiesto se potevo aiutarla a trovare un lavoro, e io l’ho indirizzata alla persona che si sta occupando di questa possibilità. Lei è così felice che ora vuole aiutare altre mamme a non abortire.
Aiutate solo le donne italiane o anche quelle immigrate?
Aiutiamo tutte le donne che si rivolgono a noi. Una donna straniera, che aveva già due figli, si è presentata al Cav incinta del terzo e praticamente certa di voler abortire. Dopo più di un’ora di colloquio senza risultati le ho chiesto: “Ma qual è la cosa che le costa più fatica?”. “Non ho la mamma vicino a me”, è stata la sua risposta. “Può andare bene anche una mamma italiana?”, le ho risposto io, facendomi subito avanti. Dal quel momento ha deciso di tenere il bambino.
In che modo le donne vengono a sapere del Cav e si rivolgono a voi?
Spesso attraverso il passaparola. Una delle persone che stiamo seguendo era alla fermata dell’autobus e piangeva perché stava andando ad abortire. Le si avvicina una giovane donna e le chiede perché stesse piangendo. Saputo il motivo, le ha suggerito: “Invece di andare ad abortire, vai al centro di aiuto alla vita”. E naturalmente questo bambino è nato.
Non si può dire che salvate i bambini, ma si può almeno dire che salvate le madri?
Sì, infatti il nostro slogan è “oggi è nata una mamma”. Il nostro colloquio vuole risvegliare questo desiderio e capacità di diventare madre. Ci vogliono degli aiuti che a questo punto purtroppo non abbiamo più, e la cosa mi fa stare malissimo. Dopo 29 anni e dopo avere incontrare migliaia di donne che pensavano di abortire, se non succede qualcosa non possiamo più affrontare nuove situazioni perché ne abbiamo in carico 2.700 pregresse. Per non venire meno alle promesse fatte, non possiamo quindi assumerci dei nuovi impegni. Se non succede qualcosa di importante, da giugno noi non prenderemo casi nuovi.
Gli aiuti del Comune non sono sufficienti per andare avanti?
Il Comune di Milano non ci dà nulla. Esisteva un “Progetto cicogna” che come ultima clausola prevedeva una dichiarazione del datore di lavoro che licenziava la dipendente perché gravida. Ovviamente, un imprenditore non firmerebbe una dichiarazione del genere per nessun motivo al mondo. Non abbiamo quindi più potuto presentare queste domande, e la conseguenza è stata che il Comune di Milano ha chiuso questo fondo perché non serviva a nessuno.
A chi rivolgete quindi il vostro appello?
Noi ci rivolgiamo soprattutto ai privati. A Milano con 1 milione e 300mila abitanti, se ciascuno rinunciasse a un caffè all’anno noi avremmo risolto il nostro problema. Chi vuole aiutarci lo può fare connettendosi al nostro sito, www.cavmangiagalli.it , dal quale è possibile aiutarci tramite Paypal o trovare le coordinate bancarie per effettuare un bonifico.
(Pietro Vernizzi)