Oggi più che mai sembra che «questa è l’ora in cui nulla può accadere», per citare uno dei maggiori versi di Cesare Pavese. Nell’immobilità e nella confusione che spesso caratterizzano il nostro tempo, a volte emerge un fischio. È l’irrompere di qualcosa di nuovo. Esperimenti danteschi, alla Statale di Milano, rappresenta un modo diverso e affascinante di studiare in università, all’interno della solita routine. Abbiamo intervistato Carlo Carù, studente di Lettere all’Università Statale di Milano, e tra i protagonisti di Esperimenti danteschi. Ha appena curato il volume Idee su Dante. Esperimenti danteschi 2012 (Società Editrice Fiorentina, 2013).



Esperimenti danteschi è un’associazione studentesca che ogni anno organizza un ciclo di incontri su Dante. Ci racconta com’è nata?
Sì, è una storia molto bella. Esperimenti danteschi, ma a quel tempo non esisteva ancora il nome, nasce nel 2004 in seguito alla riforma universitaria del 3 più 2 che aveva provocato, come conseguenza, un impoverimento dello studio della Commedia durante il percorso universitario. Per questa ragione, tre studenti di Lettere, desiderosi di non perdere il confronto con il grande genio di Dante, decidono di non darsi per vinti e promuovono, nel 2004, un seminario dedicato ad alcuni canti del Paradiso. L’anno successivo, nel 2005, grazie alla partecipazione e alla collaborazione di molti altri studenti, l’esperimento continua e si organizza un ciclo di lecturae Dantis dedicate a tutti i canti dell’Inferno. Nasce così un corso universitario sui generis perché interamente organizzato da studenti. Tutti i mercoledì, da febbraio a maggio, i migliori studiosi di Dante hanno letto e commentato in Statale le terzine del poeta fiorentino. Di questo passo, in sei anni, abbiamo riletto per due volte la Commedia. Dal 2011 ci dedichiamo a tematiche più specifiche attraverso seminari, convegni e giornate di studio. Per la nascita di Esperimenti danteschi è stata molto importante la collaborazione con alcuni professori, penso in particolare ad Anna Maria Chiavacci Leonardi e a Violetta De Angelis. Sono passati ormai nove anni, ma grazie al coinvolgimento di nuovi studenti e alla preziosa partecipazione di molti professori la storia si ripete…



Attualmente l’iniziativa è guidata da studenti che all’inizio non erano coinvolti: che cosa ha permesso la permanenza di questo interesse nel tempo?
Appunto, questo è un altro aspetto molto interessante di Esperimenti danteschi. Ormai “gli studenti fondatori” sono tutti laureati e ben avviati nel mondo del lavoro. Io ad esempio nel 2004 ero ancora uno studente liceale, così come tutti quelli che partecipano oggi all’iniziativa. Diciamo che stiamo assistendo a un bel cambio generazionale, di anno in anno ci si passa il testimone. Ad ogni modo, credo che le ragioni della longevità di Esperimenti danteschi siano principalmente tre. Il primo merito, indiscusso, va riconosciuto all’opera di Dante: dopo quasi sette secoli non ha smesso di appassionare i lettori di tutto il mondo. Una seconda ragione è legata alla curiosità e all’interesse con cui gli studenti di Esperimenti danteschi partecipano all’iniziativa: quando ci s’imbatte in un modo di studiare appassionante è difficile resistere. Infine, grazie alla profonda preparazione dei professori che partecipano a Esperimenti danteschi, e all’elevato profilo scientifico delle loro lezioni, le aspettative dei partecipanti non vengono eluse e l’interesse rimane vivo.



Per chi partecipa agli incontri è anche un’occasione di vedere un modo diverso di studiare e, direi, di fare cultura. Infatti, spesso i primi a rimanere colpiti sono proprio i professori che invitate…

È vero, direi che questo è uno degli aspetti più entusiasmanti di Esperimenti danteschi. Mi ha colpito l’osservazione di un professore di Monaco, intervenuto giovedì scorso sull’Epistola a Cangrande: «alle lezioni e ai dibattiti di Esperimenti danteschi ci si trova a rivivere lo stesso clima dal quale sono sorte le università al momento della loro fondazione». Pochi giorni fa, ho avuto l’occasione di visitare l’Università di Salamanca, una delle prime università del mondo. Ecco, pensi che pochi decenni dopo la fondazione, Salamanca radunava già più di tremila studenti provenienti da tutta Europa, una cifra altissima per l’epoca. Questo per dire che, ieri come oggi, è possibile rimettere al centro della vita universitaria il desiderio di conoscere e la passione per lo studio che accomuna studenti e docenti. Da questo interesse, negli anni sono nate molte possibilità di incontro, e in molti casi anche di amicizia, con i professori che sono intervenuti a Esperimenti danteschi. Penso in particolare ai molti dialoghi che abbiamo avuto con il prof. Robert Hollander durante le sue visite milanesi. Per partecipare a Esperimenti danteschi si fermava sempre qualche giorno a Milano e questo ci ha consentito di condividere con lui molti momenti di studio e non solo.

Nella prefazione al libro Idee su Dante si accenna al fatto che un’iniziativa come questa può essere «la documentazione di una curiosità, di un impeto creativo e di un desiderio di condivisione carichi di una promessa di costruzione per tutti»…
Sì, è una frase un po’ forte, ma l’abbiamo inserita volutamente. Direi che questo è vero a due livelli. Per prima cosa è un bell’esempio per il momento di crisi che sta vivendo il nostro Paese: invece di pretendere una risposta dalle istituzioni o di prendersela con il primo che capita sotto tiro, è possibile perseguire con tenacia un proprio desidero e costruire qualcosa di buono per tutti. Perché, come ha recentemente osservato un professore che ha partecipato a Esperimenti danteschi, quando si vede che è possibile un modo diverso di affrontare i problemi, si è incoraggiati a riproporlo anche in altre occasioni. Per questo abbiamo usato la parola promessa. Secondo, credo che non si debba dimenticare l’oggetto del nostro studio: la Commedia dantesca. La nostra iniziativa contribuisce a custodire un tesoro inestimabile, ma spesso sottovalutato. Abbiamo a che fare con qualcosa di irrinunciabile per la cultura del nostro paese. Custodire nella memoria tale patrimonio permette di riguadagnare con consapevolezza tutta la nostra storia. In questo senso è una promessa per tutti.

Esperimenti danteschi, nel corso degli anni, si è rivelata una delle realtà di studi su Dante più significative e riconosciute all’interno del panorama attuale.
Sono in molti a riconoscere l’importanza della nostra iniziativa all’interno dell’attuale panorama di studi su Dante. Teniamo anche conto che, accanto ai nove anni di conferenze, ormai si contano ben quattro pubblicazioni di Esperimenti danteschi. I primi tre volumi raccolgono gli atti del secondo ciclo di lecturae Dantis, mentre l’ultimo libro contiene gli interventi del convegno del 2012 Idee su Dante. Il volume offre uno spaccato della grande storia della critica dantesca otto-novecentesca.

Tra le questioni emerse, il punto che è stato forse più affrontato e approfondito è quello sul rapporto tra struttura e poesia nella Commedia. Come i maggiori critici danteschi si sono posti di fronte a questo problema?

Ha ragione, diciamo che è un punto molto dibattuto. Dobbiamo precisare che, almeno in Italia, la questione si riconduce alla lettura di Benedetto Croce in La poesia di Dante. In quel testo Croce riconosce a Dante il merito di aver ridato voce alla «Poesia senza aggettivo», una poesia eterna, capace di suscitare grandi sentimenti. Per questa ragione Croce conferisce a Dante il nome di «Genio». La poesia della Commedia va cercata e ritrovata all’interno degli elementi strutturali del poema che, come d’impiccio, si frappongono a essa. Ma questa è una visione molto semplificata. Nel suo saggio, Stefano Jossa chiarisce molto bene i termini della vicenda e ricostruisce il panorama culturale di Croce, ridando voce alla materia dantesca che in questo dibattito passa spesso in secondo piano. Si tratta dunque di un tema molto importante per la critica letteraria italiana, e non solo per quella dantesca. Si tratta anche di recuperare e ricostruire i presupposti della lettura desanctisiana sul poema, come osserva Antonio Prete nel contributo che apre il libro.

Nell’indice del libro vedo che compare anche il nome di un altro grande critico italiano: Gianfranco Contini…
Infatti, alla grande tradizione della critica dantesca italiana appartiene anche Gianfranco Contini, acutissimo e appassionato lettore dei versi danteschi. Uberto Motta ricostruisce la lettura della Commedia di Contini, considerando l’approccio del critico a tutte le opere di Dante. In questo senso penso che il lavoro di Motta costituisca una sintesi originale e per certi versi inedita sugli studi di Contini.

E fuori dall’Italia?
Dante è stimatissimo anche fuor d’Italia, e gli studi al riguardo sono innumerevoli. Nel nostro convegno Idee su Dante abbiamo affrontato due delle interpretazioni principali, quella di Erich Auerbach e quella di Charles S. Singleton. Il primo, con il celebre saggio Figura, ha permesso di rileggere in modo efficace alcuni elementi della Commedia, basti pensare all’interpretazione figurale di alcuni personaggi del poema, chiarita nel saggio di Lucia Lazzerini. Singleton, come apprendiamo dal contributo di Rino Caputo, ha inaugurato la grande scuola americana di studi danteschi, ancora oggi molto attiva. Lo studioso americano ha rimesso al centro alcune modalità per accostarsi consapevolmente a un’opera letteraria medioevale come la Commedia. In questo senso è molto stretto il legame con il mondo e il tempo di Dante …

Oggi, 18 aprile, ci sarà la seconda giornata di studio di Esperimenti danteschi 2013. Quest’anno avete scelto di mettere a tema i primi commenti sulla Commedia. Immagino che l’approccio al testo dei primi commentatori sia diverso da quello di noi moderni…
La prospettiva dei primi commentatori è sicuramente diversa da quella di noi lettori moderni, ma è molto vicina alla cultura e al mondo di Dante. Luca Azzetta, nella sua lezione introduttiva a Esperimenti danteschi 2013, svoltasi lo scorso giovedì, ha mostrato l’inesauribile possibilità che i primi commenti danteschi offrono al riguardo. Questi commenti restituiscono la realtà al tempo di Dante e ci permettono di accostarci con maggiore consapevolezza al testo della Commedia. Con il loro contributo si possono chiarire, talvolta con grande semplicità, molti passi del poema, evitando di perdersi nella selva delle interpretazioni. Il commento alla Commedia, come ha affermato il poeta russo Osip Mandel’štam, è qualcosa di «inevitabile», e sembra essere nato contemporaneamente agli stessi versi del poema. Per questa ragione, conoscere approfonditamente testi come l’Epistola a Cangrande o i commenti di Giovanni Boccaccio e Cristoforo Landino è molto prezioso per gli studi danteschi.

(Luca Manes)