Dall’Expo alla Scala, fino alle cosiddette “primarie” della cultura. Di questo e molto altro abbiamo parlato con il neo assessore alla Cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno. “Stiamo resistendo alla crisi grazie al nostro patrimonio culturale – ci ha detto -. Ma dobbiamo tonare a investire in cultura e formazione”, ci spiega, ammettendo di essersi trovato di fronte, fin dal primo giorno, a “una grande e fertile attività” dell’assessorato, “che corrisponde un po’ a quella che esprime il tessuto culturale di Milano. Una realtà straordinaria fatta di idee, progetti e soggetti. E un assessorato che cerca di rispondere in modo vivace alle tante sollecitazioni che giungono dagli operatori. La prima impressione che ho avuto è che avrei trovato di sicuro molti stimoli. Ovviamente assieme a tanti spunti critici legati alla situazione  particolarmente complicata che stiamo attraversando”.



Parlando del suo ruolo di assessore lei si è definito un “facilitatore”. Può spiegare cosa intende con questo termine?

Intendevo dire questo. Il ruolo dell’assessore, più che esprimere una direzione alla produzione artistica e culturale della città, che deve vivere di una grande autonomia, deve essere quello di aiutare in tutti modi i processi virtuosi che sono già in atto. Aiutarli a emergere, a svilupparsi, a fare rete e costituire massa critica affinché la proposta culturale diventi sempre più pervasiva, diffusa e assuma una dimensione sempre più internazionale.



Il bilancio di quest’anno prevede tagli di spesa consistenti. Conosce già il budget che avrà a disposizione per il 2013?

Stiamo ancora costruendo il bilancio con l’assessore Balzani; si tratta di un lavoro molto interessante che ci occuperà tutto questo mese. Secondo me però non bisogna parlare innanzitutto di tagli e di buco ma di grande sbilanciamento tra risorse disponibili e investimenti necessari. Perché le risorse disponibili sono calate molto. Il taglio dei trasferimenti agli enti locali, che quest’anno assume dimensioni particolarmente drammatiche, e i vincoli del patto di stabilità, che sono sempre più stringenti e non aiutano comuni virtuosi come quello di Milano, hanno generato questo sbilanciamento. Ecco allora che dobbiamo riportare la bilancia a pareggio, individuando quelli che sono gli investimenti veramente necessari e identificando i progetti che possono dare un impulso allo sviluppo della città.



Cosa si può fare con risorse così scarse? Quali sono le priorità su cui puntare?

Una priorità importantissima è la costruzione del percorso verso l’Expo: nei sei mesi in cui la città sarà al centro dell’attenzione internazionale dobbiamo essere in grado di testimoniare tutta la nostra vivacità culturale. Per questo motivo, una delle prime cose di cui mi sono occupato è stata la costruzione del cartellone degli Expo Days, più di 130 appuntamenti che si svolgeranno nel mese di maggio su tutto il territorio cittadino con momenti di approfondimento dedicati ai temi di Expo. Ma importantissimi sono  anche quelli che io definisco “momenti di felicità condivisa”, ovvero la possibilità di far vivere alla città occasioni in cui l’espressione artistica, proprio per il fatto di essere condivisa da un gruppo numeroso di  persone, diventi un momento di felicità e magari di orgoglio per l’appartenenza a una città così ricca di opportunità e prospettive come Milano.

Poi?

Ne cito altre tre: il Museo delle Culture, il sistema dello spettacolo milanese e il dialogo con le zone di decentramento.

Parliamo delle Museo delle culture.

La realizzazione del Museo delle culture nell’area dell’ex Ansaldo contiene una sfida molto stimolante. Che consiste nel reinventare uno spazio tradizionale come il museo, creando un perenne corto circuito dialogico e dialettico tra un passato estremamente lontano, testimoniato dal patrimonio antropologico delle collezioni del Comune, e i linguaggi della creatività artistica contemporanea.

Per il sistema dello spettacolo milanese cosa c’è in cantiere?

Il sistema dello spettacolo milanese è un sistema ricchissimo che sta vivendo però un momento di sofferenza legato alla crisi e al calo delle risorse. Qua dobbiamo metterci a ragionare insieme per aiutare il sistema con interventi di sistema. Da questo punto di vista, regione Lombardia sarà l’interlocutore privilegiato per configurare in modo nuovo gli interventi che il settore pubblico potrà fare per favorire la creazione di reti nel settore spettacolo. A Milano abbiamo il sistema dei teatri convenzionati che può funzionare come modello perché, creando massa critica, diventa attraente anche per gli investimenti privati.

Veniamo alle zone.

Il dialogo con il territorio non ha un’importanza minore rispetto alle altre priorità richiamate perché è complementare ad esse. Il dialogo con i consigli di zona e le biblioteche di zona è fondamentale per fare in modo che occasioni di cultura pervadano tutte le aree della città. Penso che non esista miglior presidio di legalità sul territorio che quello culturale.

A quanto ammonta quest’anno il contributo degli sponsor? È in calo rispetto agli anni precedenti?

Per il 2013 non possiamo ancora dirlo, visto che è un dato in costante evoluzione.

A Milano c’è una grande varietà di soggetti privati che operano nel campo della cultura. Chi tra questi, nonostante la crisi, continua a investire e a produrre cultura? Li sta incontrando? Cosa chiedono al Comune?

Sto incontrando moltissimi soggetti. Abbiamo una serie di iniziative importanti che prevedono un contributo consistente da parte dei privati: penso in particolare a Piano city e Book city. Ma il privato non è un bancomat. Con questi soggetti stiamo piuttosto cercando di stabilire un nuovo patto, che contiene anche un grosso elemento di sfida: ideare, pubblico e privato assieme, nuovo modelli per la gestione sostenibile dei grandi spazi espositivi e dei teatri. Lasciando però la governante in mano pubblica. Le richieste positive che giungono dai privati hanno tutte a che vedere con l’idea di realizzare assieme progetti spesso molto ambiziosi, visionari, che rispetto al passato richiedono una maggiore complessità di forze da mettere in campo per la loro realizzazione. La richiesta è che l’amministrazione comunale condivida questi progetti, li faccia in qualche modo propri e li agevoli. C’è anche un aspetto paradossale…

Quale?

In certi casi ci viene chiesto con insistenza di accogliere e valorizzare archivi privati. E ce ne sono di meravigliosi, e su alcuni faremo sicuramente degli interventi. Tuttavia dovremo necessariamente operare delle selezioni. Non si può pensare che il Comune accolga in maniera indiscriminata tutti gli archivi costruiti nel corso del Novecento.

Per sostituire il sovrintendente alla Scala avete scelto la modalità del bando pubblico. Una procedura insolita.

Non così insolita. Di fatto il bando viene sempre più utilizzato dalle grandi istituzioni culturali europee. È di oggi (ieri ndr) la notizia che il Centre Pompidou ha adottato la stessa procedura per scegliere il nuovo sovrintendente, che è il direttore del museo.

Quali sono i vantaggi? Farete le “primarie” tutte volte che dovrete sostituire i vertici di un’istituzione?

Questo metodo ha due aspetti positivi: trasparenza e tracciabilità. Dove con tracciabilità intendo la possibilità da parte dei cittadini di tracciare il percorso che ha portato alla scelta di persone che rivestono ruoli di vertice all’interno della pubblica amministrazione e che impegnano grandi quantità di denaro pubblico. È un aspetto molto delicato, particolarmente in un momento di crisi come questo.  Per il Comune di Milano il bando è stato un’esperienza molto felice. Mi riferisco al metodo usato dalla Moratti – non dall’amministrazione in carica – per scegliere il direttore del Museo del Novecento, Marina Pugliese. C’è anche un altro vantaggio: con questo sistema si può favorire l’emersione di una nuova classe dirigente, che permetta un ricambio generazionale. All’estero, dove questa procedura è utilizzata normalmente, capita infatti di incontrare direttori di grandi istituzioni culturali che appartengono alla generazione dei 30-40enni. Inoltre il rinnovamento generazionale porta spesso come conseguenza l’apertura di grandi reti internazionali. Come nel caso di Miart.

Secondo una recente indagine di Eurostat l’Italia è all’ultimo posto nella graduatoria dei paesi europei che investono in cultura e al penultimo per il finanziamento dell’istruzione. Siamo invece primissimi per la quota di interessi sul debito pubblico. In pratica stiamo ipotecando il futuro dissanguandoci nel presente. Secondo lei si può fare qualcosa per invertire questa rotta?

La vera domanda non è cosa possiamo fare ma quando va fatto. E la risposta è adesso. È la cosa più importante che possiamo fare: investire in cultura e istruzione. Dando un’occhiata ad alcuni indicatori socio economici risulta che tra le grandi città europee, Milano è fra quelle che meglio sta resistendo ai colpi della crisi. E la settimana appena conclusa del salone del Mobile ha testimoniato la grande vivacità di Milano in termini di proposta culturale.

Perché secondo lei?

Milano si sta salvando dalla crisi meglio delle altre grandi città perché ha ricevuto un grande regalo negli anni immediatamente successivi al dopoguerra che è il grande investimento sul patrimonio conoscitivo della nostra città. Poi questa caratteristica è andata sempre più offuscandosi. Il nostro dovere è di riportarla al centro della nostra agenda. Se abbandoniamo l’investimento sul patrimonio conoscitivo non saremo più in grado di far fronte alle situazioni di crisi.

Per fare l’assessore ha lasciato la presidenza della Fondazione Scuole civiche, da sempre considerata uno dei fiori all’occhiello dell’amministrazione comunale. Qualche rimpianto? Ha ancora tempo da dedicare alla musica?

Non ho più tempo da dedicare alla musica ma è frutto di una scelta. Ho scelto liberamente di dedicare il tempo di questo mandato al Comune e alla mia città, che amo moltissimo. So che dovrò sacrificare per tre anni la mia attività professionale, alla quale tornerò serenamente quando si sarà concluso questo periodo.

Di recente Milano ha dato l’addio a Enzo Jannacci, un artista che ha saputo interpretare i tratti più genuini della sensibilità meneghina. È vero che quella Milano oggi non c’è più?

Quella che forse non esiste più è quella maniera di raccontare e trasformare in dimensione quasi mitica elementi tipici della quotidianità. Che non apparteneva soltanto a Jannacci ma a un comunità di artisti che con lui ha vissuto l’esperienza entusiasmante degli anni del dopoguerra a Milano. Quella Milano non c’è più perché è cambiato anche il contesto socio economico della città e quello della produzione artistica che lo rappresenta. Oggi ci sono scrittori come Biondillo e Genna che raccontano bene la Milano di oggi. Ma quando il loro lavoro verrà valutato in chiave storica si dirà: ah, quella Milano non c’è più. È inevitabile. Jannacci è stato un grande anche per l’uso che fece del dialetto. Fu uno dei pochissimi artistici che usò il dialetto non come forma di rivendicazione localistica ma come laboratorio per l’invenzione di immagini e di storie.

Un’ultima domanda assessore. Si avvicina la stagione delle grandi adunate pop a san Siro con le relative polemiche sui decibel. Lei è favorevole ai concerti che si tengono la Meazza?

Dobbiamo cercare di tenere in equilibrio esigenze che sono legittime, quelle dei residenti che hanno il diritto di vivere in tranquillità e quella altrettanto fondamentale di offrire ai giovani la possibilità di ascoltare buona musica. Il patrimonio conoscitivo, per tornare a quello che dicevamo prima, si arricchisce anche con questi “momenti di felicità condivisa” che sono i concerti delle rock star. È importante operare senza reciproci pregiudizi. Bisogna mediare fra istanze diverse, facendole dialogare fra loro. L’una rispetti l’altra.