“Per noi che lo abbiamo vissuto in prima persona il 25 aprile è stato la fine della guerra, il fatto di non dovere più temere i bombardamenti, l’inizio di una nuova fase storica. I milanesi si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a ricostruire la città”. A raccontarlo è un testimone eccezionale di quegli anni, il poeta milanese Franco Loi, secondo cui “l’atmosfera di oggi è completamente diversa, e quella che ci troviamo a vivere è innanzitutto una grave crisi culturale, prima ancora che economica. Negli anni Quaranta gli operai leggevano i libri e si interessavano a fondo di politica. Oggi invece al massimo le persone guardano Facebook”.



Lei ha vissuto in prima persona la Liberazione. Com’era la Milano del 1945?

La Milano di allora era una città devastata dai bombardamenti, eravamo alla fame e durante il periodo dell’occupazione tedesca non avevamo più neanche il sale. Siccome la mia famiglia non poteva comprare alla borsa nera, mancava la pasta e mangiavamo riso tutti i giorni. In più c’era la guerra, i bombardamenti, le rappresaglie dei tedeschi. Eppure proprio perché eravamo in quelle condizioni ci aiutavamo l’un l’altro. Elio Vittorini descrive quegli anni nel libro “Uomini e no”, e la vera differenza non è tra chi stava con i partigiani e chi stava con il Duce, ma tra chi aveva mantenuto la sua umanità e chi l’aveva persa.



Che cosa resta oggi di quella lezione?

La situazione di quegli anni non era più grave dei drammatici momenti che sta attraversando l’Italia di oggi. La vera differenza è che c’era la maggioranza del popolo che lavorava, che soffriva ma aveva una grande voglia di vivere e una grande fede nella possibilità di ricostruire Milano e di ritornare a un periodo di dialogo reciproco. Oggi questo patrimonio spirituale è andato perso. Basti pensare che nella Milano del 1945, quando le madri non potevano tenere un bambino lo lasciavano davanti a un convento. Oggi lo lasciano nei sacchetti della spazzatura, quando non abortiscono: tutto ciò è il segno di un degrado spaventoso.



Nel 1945 l’Italia si trovò a un bivio: da un lato la rivoluzione comunista, dall’altra la democrazia. Il 25 aprile è importante anche perché fu scelta la seconda strada?

Sì. Del resto basta pensare al vero significato della parola rivoluzione, che vuol dire ricominciare da capo l’evoluzione, per capire quanto sia un processo stupido. L’esito di tutte le rivoluzioni del resto, e non solo di quella comunista, è stato quello di uccidere i rivoluzionari. Gli stalinisti, più ancora che tra i nobili e nella famiglia dello zar, hanno fatto le loro vittime tra i comunisti, i socialisti e gli anarchici. Subito dopo la Rivoluzione di Ottobre, Trotskij e Lenin si incontrano nel corridoio dello Smolny, la scuola dei cadetti dello zar. Come prima cosa, Stalin fa mettere una sua targa all’entrata di un’aula di questa scuola. Trotskij dice a Lenin: “Non ti sembra che il potere dia subito alla testa?”. Lenin risponde: “E’ vero, ma noi non faremo la fine di chi ha governato la Russia finora”. La storia smentirà Lenin. Salvo Stalin e lo stesso Lenin, dei 12 che guidavano il primo comitato centrale del partito bolscevico, nessun altro morì di morte naturale.

 

Quali sono i punti di liberazione sociale che la Milano di oggi deve ancora conquistare?

La vera liberazione sociale è la conoscenza di se stessi. Come fai ad amare il prossimo tuo come te stesso, se almeno un po’ non conosci te stesso? La gente al contrario adegua continuamente il proprio io a un modello proposto e imposto dall’esterno, senza avvicinarsi neanche lontanamente alla conoscenza di sé. Il problema quindi è come liberare la società e rendere possibile al suo interno l’amore al prossimo, cioè una convivenza con l’altro senza vedere soltanto i suoi difetti, perché vedo anche i miei.

 

(Pietro Vernizzi)