Con uno “spareggio” di Bilancio, come lo ha definito Francesca Balzani, neo-assessore alla partita, di circa 437 milioni nel 2013 ed un rendiconto del 2012 che registra la crescita della spesa pubblica di 100 milioni rispetto all’anno precedente, il Comune di Milano vuole dimostrare la capacità di mantenere i conti risparmiando su una scuola primaria che conta 10 classi in zona San Siro. È la vicenda della San Giusto, una civica paritaria realizzata nel 2004 dall’allora assessore Bruno Simini. La sua peculiarità sta nel fatto che ha più ore di sport, musica e lingue; un unicum in un quartiere di periferia, e circondato da case popolari, dove si realizza veramente la comunità educativa. Si vedono, cioè, cooperare insegnanti e famiglie in orario tanto didattico quanto extra didattico. Chi la va a visitare è colpito dal contributo di genitori e nonni in pensione al mantenimento della struttura e al loro coinvolgimento nella trasmissione di contenuti ai bambini.
Alcuni esempi: l’associazione Venti08, creata nel tempo dai genitori, organizza corsi ad altissimo livello di judo, musical hip hop, volley, basket, teatro in inglese, ecc., che coinvolgono 190 bambini (di cui 20 delle medie, ma che nei pomeriggi proseguono a frequentare con piacere le loro ex elementari) e che tengono aperta la San Giusto fino alle 22 di sera, riqualificando non poco la zona circostante; la tinteggiatura a tutte le pareti interne l’hanno data padri e madri durante un fine settimana; il sipario del teatro è stato cucito da alcune mamme, mentre il palco è stato realizzato da minori detenuti al Beccaria; un nonno insegna durante la ricreazione a giocare a dama e a scacchi, così come un papà laureato in ingegneria paesaggistica trasmette agli alunni la sensibilità a preservare la natura e la qualità della vita attraverso la realizzazione di modellini in legno di città.
Ciascuno è coinvolto dentro un’offerta formativa generale che fa della motorietà e della educazione al bello la peculiarità di questa scuola. Il risultato è che tanti ex alunni rimangono legati a questo ambiente e, durante gli open day, fanno da guida alle famiglie che visitano l’istituto. Ma c’è dell’altro: le richieste di iscrizione sono mediamente il doppio rispetto ai 50 allievi che possono essere inseriti nelle due prime. A dimostrazione che quando qualcosa è davvero bella, tutti si sentono attratti e desiderano prenderne parte.
Una dinamica umanissima e, per certi aspetti, sana anche in campo educativo, perché sprona ciascuno ad offrire ai nostri figli il meglio. Se non fosse che alla sinistra arancione ciò dà parecchio fastidio. La Giunta Pisapia ha infatti deciso che, per ragioni ufficialmente legate ad un risparmio di risorse economiche, la San Giusto deve essere statalizzata, con l’inserimento di docenti esterni e la conseguente scelta di “spalmare” gli specialisti che rendono unica questa realtà, e stipendiati dal Comune, su altre scuole. Il risultato è la soppressione del modello San Giusto. E in nome di cosa? Di una concezione di uguaglianza di stampo sovietico.
Scrive l’assessore all’Educazione Cappelli ai genitori: «E’ proprio la sua unicità nel panorama delle scuole primarie della zona, come noto statali, e la sua non riproducibilità nel territorio, che propone la problematicità del mantenere in modo operante la scuola nella sua forma organizzativo/strutturale attuale. In sostanza, in una prospettiva più vicina al principio della pari opportunità per tutti i bambini in età scolare della zona, la scuola non chiude, si trasforma». Tradotto: laddove esistano eccellenze tutto deve essere livellato verso il basso, in modo che ognuno sia reso uguale nell’accesso a servizi mediocri. Davvero un concetto aberrante di uguaglianza che, nel resto dell’Europa civile, è di fatti rimasto sotto le macerie del muro di Berlino. A Milano lo rispolveriamo, coprendolo dietro il paravento del risparmio di risorse pubbliche. Che, tra l’altro, si fatica a vedere: accollare i costi allo Stato, il quale – a sua volta in crisi – procede a tagliare i trasferimenti ai Comuni, ricorda molto l’immagine del gatto che si morde la coda.