Sta giustamente diventando oggetto di importante dibattito tra i cittadini di Milano la decisione della giunta di “trasformare” la scuola primaria San Giusto da paritaria gestita dal Comune di Milano a statale. Una decisione che deve far riflettere su diversi aspetti e che va a toccare problematiche di carattere ideologico, economico e soprattutto del diritto dei cittadini di una libera scelta verso le proposte formative ed educative ritenute più consone per i propri figli.
Non sto ad evidenziare le caratteristiche peculiari della proposta formativa che hanno fatto della scuola San Giusto un “unicum” nella realtà milanese, poiché sono state già ben espresse da Matteo Forte nel suo articolo, ma ritengo utile evidenziare quali rischi sottendono una decisione di questo tipo.
Partiamo dagli aspetti economici. Non metto in dubbio che la decisione nasca da una necessità di bilancio, dato che è purtroppo storia di questi ultimi anni la chiusura di scuole paritarie che non reggendo più i loro bilanci, in assenza di adeguati interventi statali (sempre più ridotti), hanno dovuto cessare la loro attività pur ricche di tradizione, di un’offerta formativa importante e apprezzata sul territorio, ma chiedo: la scuola deve sempre essere l’ultima ruota del carro?
Comprensibile la scelta del Comune che per la legge di stabilità, che ha ridotto i trasferimenti dallo Stato agli Enti locali, si è trovato nella necessità di tagliare a sua volta costi: ma i primi tagli debbono essere sempre fatti sulla scuola?
Milano è tra le pochissime città italiane che ha avuto da sempre il primato di un’attenzione particolare alla cultura ed alla scuola e le scuole civiche milanesi sono state il fiore all’occhiello delle Amministrazioni della nostra città con proposte innovative, programmi all’avanguardia e qualità formative rilevanti (dobbiamo ricordare che tutti gli anni vi è lista d’attesa e selezione per l’iscrizione al Liceo linguistico civico Manzoni?) Perché avviare una stagione di smobilitazione di questa esperienza che per tanti anni è stata riferimento formativo per le famiglie e gli studenti di Milano e non solo?
In un periodo in cui affrontando il problema della crisi e dei necessari investimenti per il rilancio economico del Paese ci si riempie la bocca affermando che il primo investimento deve essere in istruzione e formazione, perché, in concreto, istruzione e formazione sono sempre vittime dei primi tagli e dei primi risparmi?
L’unico aspetto positivo, se così si può dire, di tutta la vicenda è la reazione delle famiglie che ben mette in evidenza il loro diritto a continuare ad avere per i loro figli l’offerta formativa scelta ed anche la peculiarità dell’offerta stessa, poiché una scuola paritaria, che sia gestita da un Ente locale o da istituzioni private, assume sempre una sua identità precisa utile a farsi conoscere, a distinguersi e ad essere scelta.
Le famiglie hanno preso le rassicurazioni dell’assessore Cappelli come intervento di circostanza e nella lettera di risposta affermano: “Siamo profondamente irritati dal fatto che si voglia ancora nascondere ai cittadini milanesi la realtà della chiusura dietro la parola ‘trasformazione’. Ad oggi e per i prossimi sei anni a Milano esiste ed esisterà la Civica Scuola Primaria di Educazione allo Sport e alla Musica, ma tra sei anni non sarà più così. La scuola Civica Primaria, con una lenta agonia, senza più progettazione e proiezione nel futuro, in sei anni sarà morta. I bambini, nel frattempo, non avranno frequentato la scuola così come la conoscono oggi, perché avranno vissuto in un ambiente formativo che ogni anno perde quattro delle sue figure di riferimento, e assieme a loro perde la sua capacità e possibilità di proiettarsi nel futuro”.
Questa risposta dovrebbe far riflettere tutti coloro che affrontano il problema della scuola paritaria da un punto di vista ideologico senza tener conto del diversificato servizio pubblico che offre, molto apprezzato, come in questo caso, dalle famiglie, e senza pensare che ogni scuola paritaria che chiude è un pezzo di tradizione culturale, di servizio al territorio, di libertà che se ne va ad esclusivo danno del nostro Paese.