Con la scomparsa all’età di 76 anni di Luciano Lutring si chiude definitivamente un’epoca storica che già era scomparsa da diversi decenni. Come ha ricordato lo scrittore Paolo Roversi a ilsussidiario.net, quel particolare mondo criminale finisce verso la metà degli anni Sessanta con l’arrivo sulla scena della cronaca nera di malavitosi “duri” come quelli della banda Cavallero. Arriva la violenza, arrivano i morti e la criminalità perde quell’aura romantica che aveva avuto fino ad allora e di cui Lutring era un simbolo. “Lui non aveva mai ucciso nessuno: era sostanzialmente un ladro, ed è probabilmente per questo che ottenne la grazia dopo soli dodici anni di pena sia in Francia, dove era stato arrestato, che in Italia”. Lutring, con cui Roversi ha fatto diversi incontri pubblici e che ha conosciuto bene, amava la bella vita e le rapine gli permettevano di farla: fu protagonista di colpi clamorosi e non a caso furono diversi i film ispirati alle sue gesta, tra cui anche uno interpretato da Alain Delon.
Da quello che Lutring raccontava di se stesso, non sembra che sia diventato un criminale per necessità, per disperazione, ma perché gli piaceva la vita avventurosa e lussuosa. così?
Esattamente. Prima che gli venisse dato il soprannome che lo ha reso famoso, quello di “solista del crimine” perché nascondeva il suo mitra nella custodia di un violino, lo chiamavano “l’americano” perché se ne andava in giro con un Cadillac davvero vistosa. Gli piaceva la bella vita e compiere rapine era la via più semplice per fare quella vita che desiderava. Era un personaggio brillante, pronto alla battuta.
Raccontava di aver fatto la sua prima rapina in posta per puro caso: aveva con sé una pistola scarica perché gli piacevano le armi e l’impiegato spaventato gli diede i soldi senza che lui neanche li chiedesse.
È un episodio caratteristico del personaggio, un episodio un po’ casuale, ma in realtà voluto. Sta di fatto che dopo quella prima rapina il crimine diventò la sua professione e Lutring faceva questa professione con vera convinzione.
A quando risale l’inizio della sua attività criminale?
Cominciò subito: di fatto Lutring non ha mai lavorato. Dava una mano in negozio al padre, che aveva una latteria. Questo è ben raccontato nel film “Alzati e uccidi”, ispirato alla vita di Luciano, dove si vede appunto questa latteria che si trovava in centro a Milano.
Che tipo di criminalità Lutring frequentava nella Milano di quegli anni, gli anni Cinquanta? O era piuttosto un personaggio solitario?
Ovviamente aveva dei complici perché non si possono fare rapine in banca da soli. Nella Milano del tempo i malavitosi si conoscevano tutti, lui poi era entrato in contatto con il Clan dei Marsigliesi attraverso Albert Bergamelli, il fondatore stesso del clan. Era il mondo della cosiddetta “ligera”, quella malavita milanese un po’ romantica di cui tanto si è scritto e anche cantato.
Una malavita diversa da quella di oggi, sicuramente.
C’era un bar a Milano dove si trovavano tutti quanti questi malavitosi, e la polizia sapeva bene che si ritrovavano lì. E loro sapevano che vi potevano incontrare altri malavitosi per trovare aiuto per le rapine. Nella Milano di quel tempo non era difficile conoscersi tutti.
Fu attraverso Bergamelli che cominciò a compiere rapine anche in Francia?
No. Aveva sposato una ballerina di origine francese che aveva dei contatti con la malavita del suo paese. Ormai era diventato il pericolo numero uno in Italia e quando sentì la terra scottargli sotto i piedi scappò con lei in Francia. Grazie agli agganci della moglie, che gli fece conoscere le persone giuste, mise su un’altra banda e fece molti colpi anche lì.
Fu infatti arrestato in Francia, a Parigi.
Sì. Nel corso di una rapina aveva ferito un gendarme francese e allora la polizia aveva scatenato una autentica caccia all’uomo fino a quando non riuscirono ad arrestarlo. Quando lo presero ci fu una vera e propria battaglia in cui rimase ferito gravemente.
Lutring però non ha mai ucciso nessuno.
No, ed è anche per questo che riuscì a ottenere l’amnistia una prima volta in Francia, dopo 12 anni di galera (gliene avevano dati 22) e poi subito dopo, appena rientrato in Italia nel 1977.
Si dice che riuscì ad accumulare molti miliardi con le sue rapine. C’è un episodio particolare, una rapina che fece epoca?
Sicuramente vale la pena citare la famosa rapina al casinò di Montecarlo. Erano andati, lui e la sua banda, a giocare al casinò e avevano perso un sacco di soldi. Così, al momento della chiusura, decisero di compiere una rapina per riprendersi quanto avevano perso. Fece diversi colpi nelle banche di Milano e provincia, ma lui rubava tutto quello su cui riusciva a mettere le mani e che gli potesse procurare denaro, dalle pellicce ai gioielli. Era una persona dalle mani bucate e aveva sempre bisogno di soldi.
Lei lo ha conosciuto di persona: che tipo era?
Con lui ho fatto diversi incontri pubblici, era davvero un personaggio esuberante, dal forte accento milanese. Amava raccontare aneddoti ed episodi della sua vita criminale suscitando anche le risate di chi lo andava ad ascoltare. Ad esempio quando un giorno in Galleria a Milano entrò in un negozio e rubò una pelliccia.
Un mondo, quello di Lutring, che non esiste più.
Quel tipo di criminalità di fatto finisce nel 1965 quando la ligera romantica scompare e irrompe, con l’arrivo della banda Cavallero, la criminalità violenta, quella che spara e uccide.