Nell’ambito delle celebrazioni per i 1700 anni dell’Editto di Milano con cui l’imperatore Costantino concedeva la libertà di religione, mercoledì 15 maggio 2013 nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, a Milano, si è tenuta una “Lectio magistralis a due voci” sul tema “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, tratto dal versetto 32 del capitolo 8 del vangelo di Giovanni. Relatori l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, e il patriarca greco ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo. Pubblichiamo integralmente i loro interventi: di seguito quello dell’arcivescovo di Milano, qui quello del patriarca Bartolomeo.

Cristo è risorto! Christòs anèsti! Santità Vi ringrazio infinitamente per avere accettato il mio invito a venire a Milano in visita alla nostra Diocesi. La Vostra presenza è segno, nello stesso tempo, del forte legame che unisce le nostre Chiese e dell’importanza cruciale dell’anniversario che stiamo celebrando: il XVII centenario del cosiddetto “Editto” di Milano.

2. Sempre Cristo si rivolge alla libertà dell’uomo

«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Non sembra esagerato affermare che queste parole del Signore Gesù intercettano, in modo immediato e sorprendente, l’anelito più profondo che qualifica da sempre il cuore dell’uomo. Se si tiene conto del contesto in cui il celebre versetto si colloca non sfugge però la sua componente altamente drammatica. Nella storia, tra verità e libertà si dà sempre inevitabilmente una tensione. La Verità in senso pieno si offre, e non può non farlo, come assoluta, totalizzante; la libertà, sua interlocutrice propria, d’altra parte, non accetta coercizioni. Dalla semplice apertura che caratterizza spontaneamente il nostro rapporto con la realtà fino ad arrivare all’atto di fede in Dio che si è comunicato in Gesù Cristo, Verità vivente e personale, i diversi gradi con cui la verità si offre all’uomo sempre richiedono l’implicazione cosciente della libertà.

L’uomo, in forza della sua dignità, conosciuta sia attraverso la parola di Dio rivelata, sia attraverso la stessa ragione, «ha diritto alla libertà religiosa. Tale libertà consiste in questo: che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione sia da parte di singoli, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana e in modo tale che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza, privatamente o pubblicamente, in forma individuale associata».

Parlando di “materia religiosa” ci si riferisce alla questione decisiva del senso (significato e direzione) dell’umana avventura. Senso che ogni visione sostantiva della vita – religiosa, agnostica o atea che si voglia – mette in campo. L’anelito di libertà proprio dell’uomo, costitutivamente orientato alla ricerca della verità, esprime il carattere inviolabile della sua coscienza. Essa è un cardine di ogni forma di ordine sociale a misura d’uomo.

Il versetto biblico propone un rapporto dinamico con la persona di Gesù che rende pienamente liberi. Esso “merita” paradossalmente la celebre accusa che il grande inquisitore, nei fratelli Karamazov di Dostoievskij, rivolge a Cristo: «Invece di impadronirti della libertà degli uomini, Tu l’hai ancora accresciuta!».

È vero che l’uomo postmoderno spesso mette in questione la possibilità stessa di accedere alla verità. Eppure le parole di Gesù, «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», continuano indomite a risuonare e sfidano, dopo 2000 anni, ogni preclusione e pregiudizio. La capacità di Gesù di interloquire con ogni uomo, in ogni tempo storico, scaturisce dal fatto che Egli sa parlare “al cuore” della persona. Infatti porre la domanda circa la verità e circa la libertà e stabilire quale nesso debba sussistere tra loro, significa andare al centro dell’io, da cui ogni uomo parte per il percorso che lo porti al compimento di sé, cioè alla felicità, in termini cristiani alla santità.

La celebrazione dei 1700 anni dal cosiddetto Editto di Milano costituisce un’occasione privilegiata per rimettere a fuoco tali questioni in se stesse irrinunciabili. Lo riconosce acutamenteil geniale scrittore di origine ebraica George Steiner: «Potessi soltanto buttare via la zavorra di una visione religiosa del mondo. Potessi soltanto lasciarmi alle spalle quella ‘malattia infantile’». L’ordinanza positivista che impone alla mente adulta di chiedere al mondo e all’esistenza soltanto “Come?” e non “Perché?” è una censura fra le più oscurantiste. Vorrebbe imbavagliare la voce sotto le altri voci dentro di noi. Persino al livello del “Come?” non è affatto certo che le scienze maestose troveranno risposte dimostrabili. Per me esiste la pressione assolutamente innegabile di una Presenza aliena alla spiegazione».

Come non cogliere, in ultima analisi, in questa Presenza la forza stessa della verità che interpella l’umana libertà?

Una simile lettura, pur contenendo talune giuste forme di critica su vicende storiche che in più di un’occasione hanno conosciuto gli eccessi segnalati, non può però essere assunta come la cifra in grado di interpretare nella sua globalità la svolta che l’“Editto” di Milano ha avviato dentro la storia dell’Europa e non solo.

Importanti tracce di questa originalità sono visibili soprattutto nel modo in cui la teologia cristiana fa suoi i due concetti che stanno alla base anche dell’“Editto” di Milano: l’idea di pace e il modo di pensare l’universalità della salvezza.

L’idea di pace, anzitutto. Sarà il pensiero di sant’Agostino a fissare in modo definitivo la giusta interpretazione che la fede cristiana dà a quella pace cui tende l’“Editto” di Milano. Il cristianesimo non si accontenta di una concezione funzionale e meramente politica di questo termine. Sviluppa una declinazione escatologica dell’idea di pace: soltanto la tensione al suo compimento definitivo ne spiega il significato pieno. Questa concezione della pace rende possibile una interpretazione non utopica della storia e dei soggetti che la costruiscono.

L’istanza universalistica. Proprio l’“Editto” di Milano spinge il cristianesimo ad elaborare, su basi nuove, il senso della sua presenza nella storia. Favorisce la nascita di uno spazio nuovo, in cui l’individuo è chiamato a scoprire le tracce del disegno creatore di Dio all’interno di un mondo e di una storia che sono consegnati alla libertà degli uomini.

Non si può pertanto rinunciare all’affermazione che l’“Editto” sia stato nei fatti «l’initium libertatisdell’uomo moderno». Quest’asserzione permette di evidenziare come l’accordo tra i due Augusti determinò non solo la progressiva cessazione delle persecuzioni contro i cristiani ma, soprattutto – pur nei limiti oggettivi della mentalità del tempo – l’alba della libertà religiosa.

Certo, fu un inizio mancato per i tanti motivi che gli storici, con vicende alterne a partire dal 1700 continuano, ancor oggi, a mettere in luce.

 

4. Alle sorgenti della verità

Possiamo a questo punto svolgere qualche considerazione sul tema della libertà religiosa in quanto tale. Essa non comporta l’imposizione della verità, ma piuttosto l’accettare che sia la verità stessa, per essere riconosciuta in quanto tale, a chiamare in causa la libertà.  

In quest’ottica il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Dignitatis humanae, si è occupato della libertà religiosa non in termini generali come libertà morale nei confronti della verità o di un valore – tesi essenziale, per altro esplicitamente richiamata dalla celebre Dichiarazione – ma si è volutamente limitato a considerare la libertà giuridica nell’ambito dei rapporti tra le persone e nella vita sociale. Così considerato, il diritto alla libertà religiosa è un diritto negativo che stabilisce i limiti dello Stato e dei poteri civili, negando loro una competenza diretta sulla scelta in materia religiosa.

La strenua affermazione e difesa della libertà religiosa dice la centralità e l’inviolabilità della persona umana, la sua dignità, fondamento dell’organizzazione sociale.

Secondo alcuni le parole della Dignitatis humanae potrebbero ultimamente essere lette come una resa da parte della Chiesa cattolica, non più in grado di mantenere i propri privilegi, alle pretese della secolarizzazione, siano esse ritenute benefiche o meno.

Interpretare in questo modo l’insegnamento conciliare significa subire un clima culturale che non riesce più a pensare la realtà nella sua origine, cioè nell’orizzonte della creazione opera della Santa Trinità. Così facendo si ignora la presenza benefica del Dio Uno e Trino, sorgente della vita della persona, della comunità e del cosmo. A differenza dei nostri fratelli d’Oriente, noi cristiani di Occidente ci siamo spesso rassegnati a non fare più della confessione della nostra fede – basata sul credo che ogni domenica professiamo comunitariamente nella celebrazione eucaristica – il cardine del nostro pensiero. Veniamo colti da uno strano pudore a comunicare l’esperienza che scaturisce dalla nostra fede, nel timore che questo possa minare l’universale solidarietà con tutta la famiglia umana, i cui componenti si riferiscono a visioni diverse della realtà.

Eppure l’autentica tradizione ha sempre riconosciuto e affermato «quanto viva sia la relazione tra il più inavvicinabile di tutti i misteri [la Santa Trinità appunto] e la nostra vita quotidiana».

Il perfetto ed eterno scambio di amore, nello Spirito Santo, tra il Padre e il Figlio da Lui generato apre lo spazio, nel mondo creato – cioè nell’umana esperienza – ad una comunicazione della verità che chiede di essere accolta dalla libertà. Una libertà che non percepisce il legame di dipendenza da Dio in termini di sudditanza, ma in termini di filiazione. L’uomo creato ad immagine della Trinità – come maschio e come femmina, differenza questa interna ad ogni persona – si compie accogliendo la verità che sempre chiede il dono della libertà, come insegna la costituzione pastorale Gaudium et spes (N. 24).

Una simile lettura, pur contenendo talune giuste forme di critica su vicende storiche che in più di un’occasione hanno conosciuto gli eccessi segnalati, non può però essere assunta come la cifra in grado di interpretare nella sua globalità la svolta che l’“Editto” di Milano ha avviato dentro la storia dell’Europa e non solo.

Importanti tracce di questa originalità sono visibili soprattutto nel modo in cui la teologia cristiana fa suoi i due concetti che stanno alla base anche dell’“Editto” di Milano: l’idea di pace e il modo di pensare l’universalità della salvezza.

L’idea di pace, anzitutto. Sarà il pensiero di sant’Agostino a fissare in modo definitivo la giusta interpretazione che la fede cristiana dà a quella pace cui tende l’“Editto” di Milano. Il cristianesimo non si accontenta di una concezione funzionale e meramente politica di questo termine. Sviluppa una declinazione escatologica dell’idea di pace: soltanto la tensione al suo compimento definitivo ne spiega il significato pieno. Questa concezione della pace rende possibile una interpretazione non utopica della storia e dei soggetti che la costruiscono.

L’istanza universalistica. Proprio l’“Editto” di Milano spinge il cristianesimo ad elaborare, su basi nuove, il senso della sua presenza nella storia. Favorisce la nascita di uno spazio nuovo, in cui l’individuo è chiamato a scoprire le tracce del disegno creatore di Dio all’interno di un mondo e di una storia che sono consegnati alla libertà degli uomini.

Non si può pertanto rinunciare all’affermazione che l’“Editto” sia stato nei fatti «l’initium libertatisdell’uomo moderno». Quest’asserzione permette di evidenziare come l’accordo tra i due Augusti determinò non solo la progressiva cessazione delle persecuzioni contro i cristiani ma, soprattutto – pur nei limiti oggettivi della mentalità del tempo – l’alba della libertà religiosa.

Certo, fu un inizio mancato per i tanti motivi che gli storici, con vicende alterne a partire dal 1700 continuano, ancor oggi, a mettere in luce.

4. Alle sorgenti della verità

Possiamo a questo punto svolgere qualche considerazione sul tema della libertà religiosa in quanto tale. Essa non comporta l’imposizione della verità, ma piuttosto l’accettare che sia la verità stessa, per essere riconosciuta in quanto tale, a chiamare in causa la libertà.  

In quest’ottica il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Dignitatis humanae, si è occupato della libertà religiosa non in termini generali come libertà morale nei confronti della verità o di un valore – tesi essenziale, per altro esplicitamente richiamata dalla celebre Dichiarazione – ma si è volutamente limitato a considerare la libertà giuridica nell’ambito dei rapporti tra le persone e nella vita sociale. Così considerato, il diritto alla libertà religiosa è un diritto negativo che stabilisce i limiti dello Stato e dei poteri civili, negando loro una competenza diretta sulla scelta in materia religiosa.

La strenua affermazione e difesa della libertà religiosa dice la centralità e l’inviolabilità della persona umana, la sua dignità, fondamento dell’organizzazione sociale.

Secondo alcuni le parole della Dignitatis humanae potrebbero ultimamente essere lette come una resa da parte della Chiesa cattolica, non più in grado di mantenere i propri privilegi, alle pretese della secolarizzazione, siano esse ritenute benefiche o meno.

Interpretare in questo modo l’insegnamento conciliare significa subire un clima culturale che non riesce più a pensare la realtà nella sua origine, cioè nell’orizzonte della creazione opera della Santa Trinità. Così facendo si ignora la presenza benefica del Dio Uno e Trino, sorgente della vita della persona, della comunità e del cosmo. A differenza dei nostri fratelli d’Oriente, noi cristiani di Occidente ci siamo spesso rassegnati a non fare più della confessione della nostra fede – basata sul credo che ogni domenica professiamo comunitariamente nella celebrazione eucaristica – il cardine del nostro pensiero. Veniamo colti da uno strano pudore a comunicare l’esperienza che scaturisce dalla nostra fede, nel timore che questo possa minare l’universale solidarietà con tutta la famiglia umana, i cui componenti si riferiscono a visioni diverse della realtà.

Eppure l’autentica tradizione ha sempre riconosciuto e affermato «quanto viva sia la relazione tra il più inavvicinabile di tutti i misteri [la Santa Trinità appunto] e la nostra vita quotidiana».

Il perfetto ed eterno scambio di amore, nello Spirito Santo, tra il Padre e il Figlio da Lui generato apre lo spazio, nel mondo creato – cioè nell’umana esperienza – ad una comunicazione della verità che chiede di essere accolta dalla libertà. Una libertà che non percepisce il legame di dipendenza da Dio in termini di sudditanza, ma in termini di filiazione. L’uomo creato ad immagine della Trinità – come maschio e come femmina, differenza questa interna ad ogni persona – si compie accogliendo la verità che sempre chiede il dono della libertà, come insegna la costituzione pastorale Gaudium et spes (N. 24).

 

5. Trinità e vita sociale

Il nesso Trinità, verità e libertà, lungi dal restare relegato nell’ambito cristiano illumina anche la vita sociale. E rappresenta un decisivo contributo che i cristiani debbono offrire, in quanto cittadini, a tutti i soggetti che abitano la società plurale. Pensare, nelle debite distinzioni, la dimensione personale e sociale a partire dalla Trinità rende più agevole riconoscere, nell’edificazione della società civile, la necessità di un duplice decisivo atteggiamento: «Amore, comunanza di tutto fino all’identità dell’essenza e della vita. Ma, nello stesso tempo, perfetta custodia di sé da parte della persona».

Dalla contemplazione della Trinità emerge una visione dell’uomo e della società praticabile da tutti, che supera in radice qualunque pensiero incapace di riconoscere la differenza come un bene e, nello stesso tempo, non rinuncia a quell’unità che è il marchio inconfondibile del vero.

Dal punto di vista dell’organizzazione sociale ne derivano conseguenze decisamente notevoli. Infatti, il riconoscimento del bene della differenza permette di combattere l’utopia del collettivismo in cui l’uomo si dissolve nello Stato. D’altra parte, non rinunciare mai all’unità come orizzonte necessario di ogni realizzazione sociale mette al riparo dall’utopia dell’individualismo, incapace di concepire la logica del dono necessaria, invece, al bene personale e sociale. La tradizione della Chiesa lo ha ben compreso sostenendo che la giustizia e la benevolenza sono inseparabili nella vita sociale. Così scrive il nostro padre Ambrogio: «Nulla s’accorda tanto con l’equità quanto la giustizia, la quale, inseparabile compagna della benevolenza, fa sì che amiamo quelli che crediamo uguali a noi (…) Per la benevolenza più persone diventano una sola, perché, se più persone sono amiche e perciò in esse v’è un solo spirito e un solo modo di pensare, diventano una sola persona». E insegna l’enciclica Deus caritas est al n. 28: «L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo». Il servizio della carità fa emergere ciò che è specificamente umano ed esalta il necessario ordine di giustizia. Contrasta inoltre la tentazione che più insidia la piena libertà, ben descritta da Eliot: «L’uomo sogna sistemi così perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono».

 

6. Il futuro di Milano

Queste parole diventano particolarmente urgenti nell’attuale frangente storico in cui l’Occidente è segnato da un doloroso travaglio. In esso si innesta la crisi economico-finanziaria che non cessa di colpire pesantemente le nostre società e intere nazioni e popolazioni che continuano a subire il terribile flagello della fame, della miseria e della violenza.

Si profila in tal modo un compito particolarmente impegnativo per Milano, per la Lombardia e per le nostre terre. Sono chiamate a mostrare la capacità di rinnovare il corpo ecclesiale e quella di edificare un buon tessuto sociale, rispettoso della libertà di tutti. Consegneranno in tal modo alle nuove generazioni, nell’esercizio di una memoria viva, la fede operosa dei padri e, in solidale filìa con tutti, l’eccellente esperienza civica delle terre ambrosiane.

La celebrazione dell’anniversario dell’“Editto” di Milano cade in un momento storico in cui la Chiesa ambrosiana, insieme a tutte le Chiese del nostro paese, è impegnata in un’opera di trasformazione delle forme di presenza in una società plurale. Il concreto tessuto ambrosiano di vita cristiana è capillarmente radicato nell’esteso territorio della diocesi attraverso l’annuncio esplicito della bellezza, della bontà e della verità dell’evento di Gesù Cristo presente nella comunità ecclesiale. Un annuncio che giunge fino alla proposta di tutte le sue umanissime implicazioni antropologiche, sociali e di rapporto con il creato. Lo documentano le reti di accoglienza, di solidarietà, di costruzione di risposte ai bisogni fondamentali, di gestione del legame sociale, di luoghi di elaborazione e diffusione di arte e di cultura.

«Il campo è il mondo» (Mt 13,38). Le parrocchie, le associazioni, i movimenti sono consapevoli che per i cristiani non ci sono bastioni da difendere, ma vie da percorrere per documentare che Cristo è l’Evangelo dell’umano.

 

7. Un cammino comune

Santità, l’annuncio della Trinità Santa e della salvezza compiuta nel Crocifisso Risorto trova le nostre Chiese unite nel cammino comune dell’evangelizzazione e del contributo all’edificazione di una civiltà del volto umano.

Infatti, come Vostra Santità ebbe a dire l’11 ottobre 2012 in Piazza San Pietro, «la nostra presenza qui – e quindi anche quella di oggi a Milano – significa e segna il nostro impegno a testimoniare insieme il messaggio di salvezza e guarigione per i nostri fratelli più piccoli: i poveri, gli oppressi, gli emarginati nel mondo creato da Dio». E il Santo Padre Francesco ribadiva nell’omelia dell’Eucaristia per l’inizio del ministero petrino: «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!».

A questo compito appartiene intrinsecamente la promozione della libertà religiosa sia in Occidente che in Oriente. Sono ben diverse le forme in cui questa libertà viene conculcata. Si va dal martirio come avviene nelle terre del Medio Oriente fino ad interventi giuridici che ne impediscono la piena attuazione come avviene talora in Europa. Promuoverla a beneficio delle nostre società e promuoverla insieme con i fratelli d’Oriente è un dovere che la Chiesa di Milano non intende disertare.

I cristiani di Lombardia stanno progressivamente rendendosi conto della necessità di un senso di vita adeguato ai grandi cambiamenti in atto. Un senso della vita che necessita un approfondimento della dimensione affettiva e dell’esperienza del bell’amore, l’accettazione cordiale della società plurale ed il contributo costitutivo alla vita buona e al buon governo. Fattori che implicano un pensiero positivo e deciso della “differenza”. Esso, se rettamente perseguito, non spezza l’unità. Ne è garanzia proprio il mistero del Dio Uno e Trino.

Per questo, unendomi alla Sua persona e in considerazione della testimonianza e dell’originale riflessione che la Santità Vostra ci ha offerto, credo che possiamo affermare con un cuor solo e con l’umiltà propria di chi sa di non esserne degno, che «la verità ci è venuta incontro e ci farà liberi».