Ce lo si è detto molte volte: in un momento di crisi delle finanze pubbliche chi ha responsabilità di governo, dal Comune al potere esecutivo, deve rimettere in discussione il paradigma statalista che ha portato nel tempo ad una incontrollata dilatazione della spesa. Oggi più che mai è richiesto un passaggio culturale fondamentale: l’inclusione dei privati, e dei corpi intermedi in generale, nei processi di erogazione dei servizi pubblici deve vedere l’amministrazione ridurre la volontà di condizionare questi e aumentare per loro lo spazio di progettazione e gestione. La pubblica amministrazione, così, non scompare. Al contrario, rafforza il proprio ruolo di governance, di coordinamento, di garanzia della qualità dei servizi offerti e di valutazione dei risultati. Il tutto a beneficio dei cittadini, nella loro duplice veste di contribuenti ed utenti.



Ogni affidamento esterno in regime di subfornitura dovrebbe essere visto di buon occhio in questo momento, si dirà. Una gara d’appalto bandita dalla Giunta Pisapia, in una fase in cui c’è ancora uno sbilanciamento di 240 milioni tra le entrate e le uscite del Comune, dovrebbe essere salutata come saggia scelta nell’ottica del risparmio delle scarse risorse. Invece non è così. Almeno per due motivi. Innanzitutto perché la mera esternalizzazione tramite il bando di gara a evidenza pubblica vede ancora una volta il Comune fare la parte del leone, del dominus. Il privato si trova a correre in soccorso di un ente pubblico che non è più in grado di sostenere gli alti costi dell’erogazione diretta di un servizio. Il primo finisce per svolgere una funzione sussidiaria, e non il secondo. Quest’ultimo, di fatto, attua una politica antisussidiaria perché non interviene più a supportare la creatività sociale, bensì la mortifica affidando al privato, profit o non profit, compiti decisi dall’ente pubblico e determinandone la programmazione, la durata (spesso breve), i contenuti, le dimensioni e le caratteristiche.



C’é poi un altro motivo. Proprio il contenimento dei costi fa sì che a pagare la crisi delle finanze pubbliche siano i dipendenti del privato cui viene affidata la gestione esterna di un servizio comunale, sui quali – non dimentichiamo – grava già una pressione fiscale da record. E a cascata gli utenti sperimentano una scarsa qualità dell’offerta. E non certo per colpa del soggetto affidatario. In questo senso è esemplificativo l’appalto per il servizio di sostegno ai bambini disabili inseriti negli asili e nei nidi comunali per il periodo dal 1° settembre al 31 luglio 2015 e pubblicato lo scorso 24 aprile.



Nel bando viene proposto un compenso di 2.454 € a fronte di 145 ore al mese prestate come servizio, con un costo orario di 16,94 € e in palese contraddizione con il costo tabellare ministeriale. Il compenso al personale delle cooperative sociali, infatti, risulta inferiore di circa 3 € all’importo orario che deve essere applicato secondo l’ultimo Contratto collettivo nazionale settoriale, che prevede un costo orario di 19,73 € per la categoria D1.

Oltretutto il Comune di Milano non riconosce le ore di gestione del servizio effettivamente fatturate, quanto una supposta media delle ore di servizio «in base alle esperienze pregresse». In sostanza: vista la media delle ore lavorate in passato, se i dipendenti della cooperativa affidataria ne lavorano in più ovviamente lo faranno gratuitamente. E tutto ciò senza tenere conto, tra l’altro, dei costi per il coordinamento dell’attività, le ore di formazione, di supervisione, dei costi per la sicurezza e per la dotazione «di un proprio sistema di rilevazione elettronica delle presenze da impiantare in ogni sede scolastica» (come tassativamente richiesto e precisato dagli uffici comunali). Tutto ciò, quindi, a detrimento anche della qualità di un servizio importante e delicato come il sostegno ai bambini disabili. Alcune cooperative hanno anche realizzato delle proiezioni a fronte delle condizioni imposte dal Comune, calcolando così una perdita di circa 278 euro a modulo.

Questo ennesimo episodio porta alla luce l’urgenza di quel passaggio culturale fondamentale che deve fare chi ha responsabilità amministrative. Quel passaggio che la sinistra non vuole fare, riducendosi a gestire sempre maggiori buchi di bilancio e, paradossalmente, a fare cassa sulla pelle dei lavoratori.