“Ci ho creduto da tempo”, dice Matteo Lazzaroni, uno degli allenatori della Associazione Calcistica ARCA di Milano. “Volevo portare i ragazzi dell’Arca a giocare dentro il carcere. L’ho chiesto ad una amica volontaria a San Vittore nell’Associazione Incontro e Presenza. E’ stata una giornata entusiasmante. Una dozzina di calciatori che sono venuti, dopo l’invito: «Dai andiamo a fare una partita di calcio con i ragazzi del carcere!». In realtà speravo fosse un’occasione per riflettere su quello che abbiamo, su quello che «non ci manca». In verità è stato molto di più. Siamo usciti tutti entusiasti”.
Mi ha impressionato in primis lo spazio dove abbiamo giocato (da campetto di periferia), molto lontano dalle mie aspettative. Col passare del tempo, osservando l’impegno che ci hanno messo durante la partita ed il modo di fare tra di loro, sono rimasto piacevolmente colpito dall’ospitalità che hanno avuto nei nostri confronti, dal desiderio di vedere volti nuovi con cui confrontarsi e relazionarsi, ma soprattutto il loro sguardo colmo di malinconia e tristezza ma anche di speranza e della felicità che desidero anch’io. L’impatto è duro: cortile piccolissimo di cemento frastagliato da buche e pieno d’acqua durante l’ora d’aria e già occupato da tutti i ragazzi detenuti della sezione. Dura convincerli che era stata prescelta una squadra interna che doveva giocare con i ragazzi dell’Arca. Poi per fortuna Francesco, il loro leader, ha fatto ordine e facendosi spazio tra etnie le più diverse (marocchini, egiziani, rumeni, latinoamericani) è riuscito a dare il via alla sfida. Randagi contro Arca. Inutile dire che hanno vinto i Randagi. Una sfida (temuta) ma vissuta con ordine e correttezza come talvolta nemmeno “fuori” si vede. Ecco alcuni commenti al pomeriggio. Che ha lasciato in tutti un segno profondo.
Il primo impatto è duro – dice Luca – si percepisce di varcare la soglia di un luogo di sofferenza e di essere guardato da “invasore”. Ma è l’angusto campetto in cemento che ribalta misteriosamente la situazione. Lì in mezzo, mentre la palla rotola, non ti senti più a disagio, non ti senti più diverso. Loro stessi, i nostri avversari, non lo credono più. Si iniziano a respirare particelle nuove: l’azoto dell’uguaglianza, l’ossigeno della libertà. Ci si dimentica presto di essere tra le mura di un carcere, quello che prevale in me è la voglia di difendere, alle spalle dei miei compagni, quei pali dipinti su un muro obliquo; e sono contento di aver portato anche i miei fedeli guanti da portiere: dal boato che si ode da bordo campo questo incontro non pare proprio un’amichevole… Stefano dice: ”Per me è stata una bellissima esperienza di confronto, sia sul campo che fuori, di compagnia, e la scoperta di un mondo che non molti hanno la possibilità di conoscere. Mi hanno colpito i loro racconti e il loro modo di stare insieme. Un’esperienza che rifarei molto volentieri”.
Francy: Mi ha colpito che ci abbiano raccontato di loro, della loro vita a cuore aperto e mi ha colpito anche il loro evidentissimo desiderio di felicità. Lorenzo: tante storie soffocate entro quattro disperate mura. Eppure nei loro volti non c’era spazio per la disperazione. Una gran voglia di vivere li accomunava. Questo quello che ho percepito, in un mondo inaspettato E’ impressionante quanto ha detto Papa Francesco sabato alla giornata dei movimenti: “Gesù vi attende”. Dagli sguardi di quei ragazzi era palese come ci stesse aspettando da mesi, senza volere niente in cambio che sia frutto delle nostre capacità. – Simone. i ragazzi che ho conosciuto in carcere sono esattamente ragazzi come me, con lo stesso desiderio di bellezza, di amicizia e di giustizia che ho io. Sarebbe bello tornarci per mostrare a questi ragazzi che c’è un altro modo in cui si può vivere, grazie a una compagnia e a un’amicizia. –Davide la sensazione che prevale tra le tante è la consapevolezza di quanto sia decisiva l’educazione che riceviamo e di conseguenza la gratitudine per quella che ho avuto io. Dei ragazzi detenuti mi ha colpito la malinconia che ho visto in certi sguardi e la rassegnazione per alcuni a una vita che non ritengono non possa cambiare. Martino
Mi piange il cuore nel vedere dei ragazzi così simili a me rinchiusi in un posto che in nessun modo può farli redimere da”errore commesso ma che è utile solo a crogiolarsi nell’odio e nella noia… tutti parlano della detenzione come se fosse solo una punizione , un qualcosa che difficilmente potrà inserirli in un contesto sociale. Ora ho solo una speranza in testa: vedere quei ragazzi fuori da quelle celle, fuori da quel carcere. Spero che vivano senza la paura di poter tornare prima o poi in un lungo periodo di detenzione. Stefano Pietro : entri in un campo da calcio surreale con porte disegnate sul muro e la forma non ben precisata, ma al suo interno ci trovi ragazzi come te, stesse passioni e voglia di essere felici. Mi porto via i loro sguardi e sorrisi, malinconici ma pieni di speranza.
Giacomo : E’ stata un’esperienza dura perchè abbiamo toccato con mano il cinismo e la rassegnazione delle persone, ma allo stesso tempo molto ricca e interessante facendomi veramente capire quale sia l’importanza e il concetto di essere liberi. Mi ha dato l’idea di non essere un posto affatto educativo il carcere bensì un momento di “parcheggio” temporaneo della propria vita per poi tornare a ricommettere lo stesso errore. Ragazzi delusi e rassegnati dalla propria vita senza uno scopo e voglia di cambiare. Persone come noi che si impongono uno stile di vita da loro definito malvagio! Dice Maria, una delle volontarie che ha organizzato al partita: Oggi non ho assistito ad una partita di calcio, ma ho vissuto e condiviso in pieno un gesto d’amore gratuito.
E’ solo dentro ad una esperienza così che riesco a riconoscere il gusto di vivere e la forza di gridare che la vita è bella, senza se e senza ma. Non mi resta altro che ringraziare il buon Dio per il dono ricevuto! “dice Marco – è davvero un mondo a se stante. Ho parlato con alcuni di loro e mi sembravano “buoni”. Senz’altro il reato non ti definisce come persona. Ho fatto bene a venire “ Un ragazzo dentro raccontava ai calciatori “Ragazzi per stare qui dentro ci vuole testa. Se no il tempo della pena passa e non impari nulla. Qui devi capire cosa hai fatto e decidere di non rifarlo”. Si ma come si è aiutati in questo?…. La sete di compagnia che oggi è venuta fuori (Perché non venite tutte le settimane a giocare con noi?) dice che una possibilità è far cadere la barriera, il muro. Dentro e fuori che si incontrano con la disponibilità ad un incontro vero. Come è accaduto sabato, tra Randagi e Arca.