Alexander Pereira è il nuovo sovrintendente della Fondazione della Scala di Milano. Austriaco, 65 anni, finora direttore del Festival di Salisburgo, il manager è famoso per la sua capacità di raccogliere fondi e guadagnerà il 25% in meno del suo predecessore Stéphane Lissner. In tempi di crisi, la Scala è vista però come un pozzo senza fondo dal prestigio indiscusso ma capace di attrarre soltanto i milanesi più benestanti. Per tutti gli altri, non sempre la gestione della cultura da parte del Comune è soddisfacente. Ilsussidiario.net ha intervistato Giuseppe Frangi, direttore di Vita Non Profit.



Frangi, che cosa ne pensa della nomina di Pereira?

Quella di Pereira è una buona nomina, in quanto si tratta di un manager che è abituato a raccogliere fondi, andando a chiedere soldi a coloro che usufruiscono dei servizi d’elite della lirica. Ha delle abilità spiccate nel campo del fund raising tra i ceti ricchi della società, in quanto il Festival di Salisburgo ha un budget molto caro ed è quasi tutto garantito dalla raccolta fondi messa in atto dal direttore. Pereira incarna quindi una figura di manager moderno e innovativo, ben diverso da Stéphane Lissner, il quale in questi anni ha pensato soprattutto a controllare la produzione artistica.



In che modo la Scala può cambiare per esprimere al meglio la sua vocazione?

Occorre rendere più trasparente la politica dei biglietti, per fare sì che agli spettacoli possa prendere parte anche chi non è un miliardario. Una proposta che condivido di Pereira e dell’assessore alla Cultura, Filippo Del Corno, è quella di realizzare una Scala diffusa anche per la città, per fare in modo che alcuni dei suoi spettacoli siano portati nei quartieri. Ciò può avvenire sia attraverso la proiezione dei video delle opere nei cinema e negli altri luoghi pubblici, sia attraverso dei piccoli concerti di canto. Nella sua prima intervista, Pereira ha affermato la sua volontà di far uscire la Scala dalla sua sede istituzionale. Ritengo del tutto condivisibile questa politica, che sarà molto utile anche dal punto di vista della raccolta fondi in quanto farà capire che il teatro della lirica ha una platea molto più ampia di quanto si creda.



In una città come Milano può bastare investire sulla Scala?

A Milano l’offerta musicale è molto vasta e non si limita certo alla Scala. La lirica è sempre stata un genere di spettacolo costoso e quindi alla portata di pochi, anche se non può essere lasciata morire, perché fa parte di una tradizione. Va però certamente tenuta sotto controllo dal punto di vista della gestione dei costi. Uno dei problemi per esempio è che in Italia ci sono troppi teatri lirici.

 

La Scala resta l’istituzione culturale dei milanesi ricchi. Che cosa si può fare per dare ai cittadini meno benestanti un sistema museale come Dio comanda a prezzi contenuti?

Il vero problema non sono i prezzi ma la capacità di attrarre. Il biglietto d’ingresso di Brera costa 7 euro, ma non credo che portandolo a 4 euro si moltiplicherebbe magicamente il numero dei visitatori. La vera sfida è riuscire a intercettare un pubblico che è molto diverso da quello di 20-30 anni fa, ha altri interessi e potrebbe ignorare del tutto un patrimonio che gli appartiene come quello di Brera. Il punto è riuscire a capire che cosa vuole questo nuovo pubblico, incrociando quella domanda con l’offerta artistica. Il museo di Palazzo Madama a Torino ha saputo intercettare un pubblico molto vasto con due manovre. In primo luogo ha organizzato i matrimoni civili all’interno delle sale del museo, in modo tale che gli sposi e i testimoni le associno a un momento importante della loro vita e desiderino tornarvi. Inoltre ogni sabato le sale del museo accolgono le donne che lavorano a maglia, un’operazione semplice e quotidiana di bellezza. Sono partite in 30 e oggi partecipano in 300 ogni settimana.

 

Più in generale, che cosa ne pensa del modo in cui è attuata la politica culturale nel Comune di Milano?

Sul fronte della cultura le istituzioni sono molto indietro. Basti pensare al paradosso del museo fatto costruire da David Chipperfield, un edificio molto ambizioso dietro l’Ansaldo, di cui non si sa ancora la destinazione. Il giorno in cui sarà inaugurato ne parleranno tutte le riviste d’architettura del mondo, la somma investita è molto elevata, eppure non si sa neanche per quale motivo lo si è fatto. Mi sembra il sintomo della mancanza di consapevolezza delle nostre istituzioni quando si parla di cultura a Milano.

 

(Pietro Vernizzi)