Ovviamente Roberto Maroni sta già correndo a intestarsi il “manifesto della Lombardia bavarese” annunciato dal neo-presidente dell’Assolombarda, Gianfelice Rocca. E ovviamente solo in pochi potranno – o vorranno – ricordare che le molte riflessioni-guida del patron della Techint erano già tutte in un intervento di un paio d’anni fa a un convegno della Cdo di Monza: a commento del documento di CL “La crisi sfida per un cambiamento”. La crisi finanziaria, concordava fin da allora Rocca, non è che l’epifenomeno di un aggiustamento strutturale di rapporti economici profondi, quasi di cultura economica.



Dopo il crac di banche e Borse globali può essere riduttivo perfino pensare che il problema sia una criticità macro come la stabilità dell’euro. Rocca (che realizza fuori Europa più della metà del suo fatturato) ricordava già a fine 2011 che gli anni peggiori del dopoguerra nell’eurozona sono stati i migliori della loro storia per molti paesi “emersi”, in Sudamerica, in Africa e in Asia.



Il suo appello a credere nel modello lombardo, a puntarci, non ha oggi un’ispirazione diversa: parte dall’osservazione della realtà, di una Lombardia che è l’unico pezzo di Paese che ha tenuto il passo con la Baviera. L’unico pezzo di Paese in cui le istituzioni amministrative hanno tenuto il passo con l’impresa privata (la piccola e la grande), facendo della competizione e della libertà economica una spirale virtuosa all’interno di qualcosa che solo in Lombardia assume il nome sostantivo di sussidiarietà.

Negli ultimi 18 anni, questa cosa che chiamiamo Lombardia non è stata governata da Maroni, ma da qualcun altro. Che dalla Baviera avrebbero forse candidato cancelliere. E che nei giorni del giudizio di una Corte costituzionale come quella di Karlsruhe difenderebbe con sicurezza l’euro, avendo sempre ritenuto la sua Lombardia perfettamente in grado di reggere ogni concorrenza dentro l’Europa e ritenendo l’Europa l’unica via sicura per reggere la concorrenza con le altre macro-aree del pianeta.