Nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Non gli elettori del centrodestra, almeno. Chi, invece, Maroni lo conosce bene non si stupisce più di tanto. Andiamo con ordine: il presidente lombardo ha annunciato l’intenzione di archiviare il sistema dei voucher regionali. In particolare, il cittadino non godrà più di buoni da poter spendere nella struttura che offre servizi di assistenza domiciliare o di riabilitazione che ritiene più adeguata. Sceglieranno l’Asl e il comune per lui. Il governatore ha così accolto l’ordine del giorno della sinistra che chiedeva esattamente un cambiamento in questa direzione, mentre l’assessore alla Famiglia, Cristina Cantù, ha spiegato che «l’idea è di non dare risorse in modo generalizzato in mano all’utente e far sì che questo si muova nel mercato. L’obiettivo è, invece, quello di accompagnare le famiglie nel percorso di scelta (…) con una forte ed efficace governance, che riconosce e potenzia il ruolo di Asl e Comuni, a garanzia di appropriato impiego delle risorse». Ne abbiamo parlato con l’ex assessore alla Famiglia, Giulio Boscagli.
Cosa ne pensa dell’operazione di Maroni?
Ci si dovrebbe interrogare sulla reale utilità di una mossa del genere. Il voucher, in tutti i campi in cui è stato applicato, non ha rappresentato di certo un privilegio della giunta Formigoni, ma il tentativo di dare alle persone la possibilità di scegliere la risposta alle loro esigenze in base al criterio della libertà. Tanto più che, a differenza della sanità dove il valore delle prestazioni è fissato, nel sociale i servizi sono difficili da monetarizzare. Anche per evitare dispersione di risorse, quindi, si è ritenuto che il miglior controllore possibile fosse il fruitore dei servizi.
Maroni dice il contrario.
Il mito per cui la gente che usa i voucher sarebbe in balìa di se stessa è smentito da una serie di considerazioni. Anzitutto, non risulta che le Asl siano state abolite, e la loro capacità di filtrare le opzioni esiste tuttora. Inoltre, in una città, le cooperative che si occupano di assistenza agli anziani tra cui dover scegliere non sono certo migliaia. Va anche detto che il cittadino, come è in grado di scegliere, affidandosi alla sua conoscenza diretta, al passaparola, o alla reputazione, la struttura sanitaria migliore in cui farsi curare, così può fare anche nel campo sociale. Insomma, il pregiudizio maroniano è curioso e parte dell’idea che i cittadini non siano in grado di intendere e volere.
Eppure esistono soggetti particolarmente deboli, come gli anziani soli, che potrebbero non essere così facilmente in grado di orientarsi.
Certo, fin qui, infatti, ho parlato del cittadino che non riscontra particolari criticità, e che è inserito in una struttura sociale. Di norma, l’anziano ha dei parenti, dei figli, dei vicini di casa. Per quanto riguarda l’anziano solo, invece, esistono strutture che già adesso si fanno normalmente carico di indirizzarlo verso i servizi più adeguati alle sue esigenze. Basti pensare alla rete pubblica delle Asl, ai servizi sociali o ai servizi dei sindacati quali il Telefono amico. Per questo, ovviamente, possono esistere casi in cui il sistema dei voucher può essere migliorato ma, di norma, rappresenta uno strumento di libertà e razionalizzazione.
Perché Maroni, secondo lei, ha assunto questa piega?
Non mi stupisce. Maroni ha un retroterra culturale di sinistra. E lui, come del resto più volte abbiamo potuto constatare buona parte della Lega, ha una concezione fondamentalmente statalista. Che poi lo Stato non sia quello centrale, ma l’ente territoriale che dovrà essere governato da loro in maniera dirigista, cambia ben poco. E’ buono e giusto esclusivamente quello che realizzano il Comune o la Regione governati dal Carroccio; all’interno del quale la cultura della sussidiarietà non ha mai attecchito. Per cui l’idea dei voucher stride.
Ci saranno malumori nella maggioranza?
Pdl e Lega attraversano un fase talmente complicata dal punto di vista del consenso che, se si vuole governare la Regione per cinque anni, sarebbe meglio fare un grande sforzo per condividere le scelte, piuttosto che fare fughe in avanti.
(Paolo Nessi)