La decisione del sindaco Pisapia di tagliare i fondi agli asili nido paritari milanesi – 1,2 milioni di euro in totale, tra contributi e fornitura di derrate fresche – prende una direzione esattamente opposta a quella in cui bisognerebbe andare per assicurare un servizio alla comunità. Sinora, quella dell’incentivo all’iniziativa privata – anche nelle forme dei micronidi, degli asili domestici e delle Tagesmutter -, si è dimostrata la strada più feconda: è infatti la vera responsabile dell’incremento dei servizi di assistenza alla prima infanzia registrato negli ultimi anni. Secondo l’Istat, nell’anno educativo 2010/2011, a livello nazionale la quota di bambini che si sono avvalsi di un servizio socio educativo è giunta al 14%, rispetto al 9% dell’anno 2003/2004. La percentuale tuttavia non include solo servizi pubblici, ma anche e soprattutto quelli privati convenzionati e i servizi integrativi: mentre i bambini iscritti a un nido pubblico comunale sono aumentati del 2,2%, quelli in convenzione presso strutture private sono cresciuti del 12%. Bambini che hanno usufruito di un servizio pubblico, insomma, ma erogato da privati, che si sono attenuti a linee guida e standard validi per tutti.



Si chiama sussidiarietà: incoraggiare la creazione di nidi e asili privati costituisce una concreta applicazione di questo principio, previsto peraltro dalla nostra Costituzione, da tutti elogiata a parole ma mai come su questo punto disattesa. La filosofia di Pisapia e dei suoi consiglieri è verosimilmente ispirata da un principio diverso, anzi due. Da un lato, trapela una fondamentale volontà punitiva dell’iniziativa privata, tanto più se questa iniziativa viene presa da organismi di ispirazione religiosa; commenti come quelli della Cgil alla decisione del comune tradiscono chiaramente questa volontà. Come se i bambini accolti negli asili paritari fossero, per ciò stesso, meno bisognosi delle cure, dell’attenzione e della dedizione degli educatori; o come se i loro genitori fossero meno interessati dalla necessità di conciliazione tra famiglia e lavoro che muove la domanda di servizi di assistenza alla prima infanzia.



E questo per il solo fatto di aver scelto strutture private: dall’altro lato, infatti, emerge un’altrettanto fondamentale convinzione che a farsi carico dell’educazione, della formazione e dell’istruzione debba essere lo Stato in prima persona, intervenendo direttamente, senza nulla concedere alla libertà di scelta. Una vecchia via, già sperimentata con successo in momenti storici e realtà molto diverse da quella del nostro Paese, alle quali peraltro si spera che non somigli mai (come la Ddr, con il suo sistema di asili nido pubblici ad apertura estesa).



Come se lo Stato non avesse di meglio da fare che entrare nelle vite dei suoi cittadini, sin dalla culla, e fino alla tomba: come se le condizioni in cui oggi versa, e che lo costringono a tagli come quelli operati a Milano, non dipendessero (anche) da questa insana pretesa.