Avete presente il gioco delle tre carte in cui un “omino” in mezzo alla strada, magari appoggiato sopra una valigia di cartone, invita i passanti a puntare su una delle tre carte e dire da che parte questa viene posta, destra, sinistra o al centro? Chiaramente il gioco è manipolato dall’abilissimo esecutore che, approfittando della confusione creatasi intorno e dell’apparente e truffaldina semplicità del gioco, con maestria sposta la carta a suo piacimento e il “pollo” di turno, volendo scoprire dove sta il trucco, continua a scommettere e perdere sempre più. Ecco, il paradosso qui tracciato può essere paragonato a ciò che il Fisco fa con il contribuente!
Abbiamo già scritto in queste pagine, in precedenti articoli, sull’argomento del cosiddetto “terrorismo fiscale”: tale sistema è stato usato anche per la “mini-Imu”. Partendo da questo presupposto non è difficile intuire quale subdola macchinazione ci sia dietro: come al solito, per imporre questa nuova gabella prima si è creata ad arte un’angosciosa “suspense” sulla natura della stessa, poi in che anno era la pertinenza, se riguardava la prima casa (la cui attuazione pareva fosse stata abolita del tutto) o la seconda, e quali comuni l’avrebbero applicata e in che percentuale; infine, se veniva accorpata alla nuova tassa (spazzatura, possesso immobili, servizi, ecc.) che nel 2014 i comuni applicheranno.
Successivamente, ed è un provvedimento governativo di questi giorni, come per incantesimo, si è finalmente “concessa” la possibilità al possessore delle prime case in alcuni comuni italiani, per il 2013, di calcolare e pagare (cosa ai più non chiara) la differenza di un’aliquota (fra l’altro mai applicata) sull’Imu. Come già accaduto in precedenza, è partito un sistematico assalto ai Caaf e alle banche, tutto ciò in strettissimi tempi (la scadenza è fissata improrogabilmente per il 24 di questo mese), da parte del contribuente per l’ennesima volta spaventato, affannato però “contento” di poter pagare, quasi se questo fosse una specie espiazione dei propri peccati. Ma l’argomento sul quale vogliamo soffermarci è quello dell’illogica situazione venutasi a creare nel contesto sociale e politico nella città di Milano, rispetto alla riscossione di queste imposte locali.
A livello politico e amministrativo, la metropoli lombarda è una delle più penalizzate dall’eterno conflitto per la gestione e distribuzione dei proventi ricevuti dal prelievo fiscale dallo Stato agli enti locali; la soluzione potrebbe essere quella proposta dalla Lega e cioè quella che sancisce che dove si produce più reddito in campo nazionale là devono fermarsi i gettiti tributari. Questa ipotesi ha trovato e trova però parecchi dissensi, in quanto le altre città e regioni italiane si vedono penalizzate.
La cruda verità è però che Milano non è diversa dalle altre città, o meglio, dal punto di vista economico nella città meneghina le persone e le famiglie fanno fatica ad arrivare a fine mese più che in tutto il “bel paese” e il margine con la soglia di povertà è sempre più stretto. Vivere, accedere ai servizi, pagare affitti sta diventando impossibile per molti, sia cittadini italiani che stranieri, i quali addirittura si stanno accorgendo che il Paese dove hanno deciso di stabilirsi, a livello sociale ed economico, assomiglia il più delle volte assurdamente alla nazione originaria.
Chi governa Milano deve rendersi conto di questo: Pisapia non può nascondersi. O come ha quasi sempre dimostrato, dando tutte le colpe allo Stato centrale, non intervenire soprattutto nel campo sociale. Il fatto poi che si attacchino alle briciole delle imposte locali già abrogate (che poi briciole non sono: si pensi che questa mini-Imu costa alle tasche dei milanesi in media 40 euro a persona) per far bilancio o portino le varie tasse locali a cifre insostenibili ai più è una cosa che non sta in piedi; alla faccia della difesa del proletariato e della rinascita del “Sol dell’Avvenir” come promesso dal nostro sindaco in campagna elettorale.
Ormai si paga tutto e le poche detrazioni e bonus concessi alle fasce meno abbienti e alla maggioranza dei pensionati non bastano a risolvere il problema. Senza un intervento sistematico sul sociale, sul mondo del lavoro soprattutto giovanile per un minimo di distribuzione della ricchezza (la quale per fortuna nel nostro capoluogo e in particolare nella nostra regione viene nascosta ma esiste ancora e tanta) e su una vera applicazione di equità fiscale, cosa non impossibile da attuare, Milano è destinata al declino, malgrado (e qui facciamoci una sonora risata) occasioni come l’Expo 2015, iniziativa che tutti hanno voluto per rilanciare le sorti e la visibilità della città e che fino a oggi nessuno ha veramente e adeguatamente curato con un serio lavoro.
L’attuale giunta “radical chic” (sob!) non può non avere proposte che tentino di dare un minimo di respiro adeguato alla questione sociale. Bisogna lavorare tutti con uno spirito diverso e innovativo: non esiste da tempo, e lo sappiamo bene, una coscienza di un popolo, persone che amano la propria città che abbiano una concreta possibilità di ripartire per ricostruire quello che è stato distrutto da un sistema disumano basato esclusivamente sul profitto e sull’esclusione sociale. L’abbiamo già affermato: non si può usare esclusivamente l’arma indiscriminata del prelievo fiscale iniquo, in quanto i ricchi, avendo a disposizione grossi capitali, hanno sempre più in mano qualsiasi forma di potere e possono permettersi perfino l’evasione (tanto non li “becca” mai nessuno); tutto ciò a scapito dei cittadini onesti che senza lavoro, senza accesso ad adeguati servizi e crediti, i quali fanno fatica a far vivere dignitosamente loro e la loro famiglia, che fra un po’ dovranno pagare pure, come si suol dire, “l’aria che respirano”. Altresì, il Governo ha stabilito che i proventi di questo nuovo prelievo fiscale ad appannaggio dei comuni sia destinato a favorire delle detrazioni alle fasce più deboli: vedremo come finirà, come i più bisognosi potranno accedere a queste, come gli abitanti di palazzo Marino sapranno gestire la cosa.
I cittadini milanesi, come d’altra parte il resto degli italiani, sono ormai rassegnati e disillusi perché ne stanno vedendo troppe e l’idea di una ribellione fiscale che serpeggia in molti non è poi è così lontana: il pericolo vero, però, non è quello di una presa di posizione anarchica, un rifiutare ogni potere costituito, ma un totale fatalismo individuale, un accettare passivamente tutto quello che viene imposto dall’alto pur di salvare le proprie quattro cose e il proprio “orticello”.