Uno sconosciuto ha minacciato il sindaco Pisapia, firmando il solito simbolo a cinque punte Brigate rosse “Alasia”. Il concetto è chiaro: vuol dire che questo tizio è deluso da Pisapia e pensa che bisogna tornare al terrorismo come sfida al potere.

Proviamo a guardare con gli occhi di questo “proletario” violento. Cosa ha fatto Pisapia per meritare l’odio? Ha rifiutato di coprire l’illegalità, quella dei centri sociali del “prendiamoci tutto”, quella degli occupanti abusivi delle case popolari, quella dei manifestanti che attaccano la polizia per impedire gli sgomberi, quella dei prepotenti che controllano i campi rom, quella degli alternativi che sono contro la ferrovia ad alta velocità, che sono contro l’allargamento dell’autostrada fra Bologna e Firenze, che sono contro la via d’acqua che deve raggiungere l’Expo, quella dei manifestanti “Expofamale”.   



Eppure Pisapia è favorevole all’aumento dei prelievi sui cittadini, è d’accordo con gli oppositori dei parcheggi sotterranei e con coloro che sostengono che si devono creare i rallentamenti forzati delle automobili per dissuadere dall’uso, è impegnato sui diritti degli omosessuali, sostiene il blocco della strada interquartiere nel nord della città, ha aumentato i biglietti del tram e i prezzi dell’ingresso nelle piscine comunali. Ha sostanzialmente fermato il Piano Generale del territorio. Ha riportato fuori dalla gestione Aler le case popolari di proprietà del Comune. Insomma è interno alle idee dell’estrema sinistra. 



Dunque perché le minacce?

Perché siamo di fronte ad una crescita enorme della povertà dentro la metropoli, a causa della disoccupazione. La delusione e la rabbia sociale sono terreno di conquista per molti agitatori.

Perché siamo entrati in un nuovo tempo, sotto le macerie del comunismo rispunta l’anarchia, la pretesa che lo Stato e la politica si tirino da parte, e che le spinte esistenzialiste tese ad una vita leggera, naturalista, egualitaria, magari anche liberata dalle responsabilità imposte dalla società. Queste idee hanno oggi una massiccia diffusione. L’odio verso i politicanti, che si fanno solo i loro interessi, corrotti e ignoranti, è tale da manifestarsi anche con l’astensione massiccia.



Lenin chiamava l’estremismo “malattia infantile del comunismo”, ma oggi non si tratta più dell’ideale agitato in forma estremista. Oggi si tratta della crisi dell’uomo contemporaneo, la vera causa della crisi economica che stiamo vivendo. La crisi è di motivazione, la vita non ha più un segno positivo, il cinismo porta all’autodistruzione. 

E Pisapia difetta di una sua progettualità, non si collega alle energie positive della città, non le incontra, non le segnala. Insomma, la città regge alla globalizzazione e si offre come grande città del mondo, con tante sue attività di pregio, eppure non c’è racconto della città in cammino. Pisapia non offre la platea istituzionale per l’immagine positiva della città. 

Al mondo milioni di nuovi ricchi hanno il desiderio di capire Milano, ma quando ci arrivano, in massa, come accade ora, girano smarriti per la città perché nessuno li guida nella grande città d’arte, di storia, di scienza, di ricerca, di creatività. Milano continua ad essere nascosta.

Il vero blocco operoso della città vive nella consapevolezza del bisogno di tenere uniti diritti e doveri, 300mila immigrati presenti in questa città di 1.300.000 abitanti sono il segno della capacità di accoglienza e delle forze positive che vi operano. Ma certo non è per il governo cittadino. 

Intanto famiglie divorziate in massa, genitori libertari che praticano modelli di consumo infinito, famiglie segnate da generazioni di tossicodipendenti, con i figli sbandati dentro l’illusione di poter essere liberi di fare quel che si vuole, caratterizzano non più le periferie, perché Milano non ha più le periferie violente, Milano ha una violenta crisi sociale, di composizione e di consapevolezza. 

Ecco il punto su cui si deve spostare la nostra riflessione: sviluppo e crisi si toccano da vicino dentro la città, l’arte della politica dovrebbe essere di composizione, chiedendo al meglio della città di non inasprire le differenze, ma anzi di farle convivere. Pisapia dovrebbe uscire dalla sinistra vendoliana, unilaterale nella sua cultura dei diritti, retrograda nel guardare la città. Ma forse è più realistico chiedere ai giovani di diventare nuova classe dirigente della città, mettendosi al seguito dei testimoni che hanno vissuto la politica ascoltando la città, che possono raccontare di come sia possibile sentire Milano come luogo della comunità milanese. Vi garantisco che gli immigrati sono quelli che di più si sono accorti di questo tratto della città, e stanno a Milano con entusiasmo e impegno operativo.

Ma pensate all’Expo, tema: alimentare il mondo. Pensate che Milano ha fatto suo il tema alimentare, come se fosse una città di agricoltura e di aziende produttrici nel settore. Ma il tema è dentro la capacità di interpretare tutta l’Italia, come ha sempre saputo fare Milano. Un grande crogiolo che con la tradizione gradualista della città impasta tutto il meglio del nostro popolo. La cultura nazionale è contrassegnata dal dialogo fra il siciliano Verga e Milano. Il mezzogiorno d’Italia ha mandato tanti suoi figli a Milano. Questa è Milano, non quella dei gruppetti anarchico rivoluzionari. Che comunque sono un pericolo sempre da considerare.