La sera del 7 novembre c’è stato l’incontro, organizzato dal Centro culturale di Milano, con la grande regista Margarethe von Trotta. E’ stato davvero l’incontro con una persona eccezionale, non una conferenza sul suo film Hannah Arendt. Si è fatta incontrare lei, nel mistero della sua persona. E la donna soggetto del film è stata il riferimento e il pretesto per far capire la regista. Infatti ha iniziato dicendo che il film come ipotesi di lavoro è una realtà che le viene incontro, a cui le capita anche di resistere, sino a quando si sente coinvolta a tal punto da dire sì.
Ha ricordato che lei era di sinistra e che quelli di sinistra erano contro la Arendt perché aveva paragonato il comunismo con il nazismo. Spiegando poi il suo superamento dell’ideologia ha detto due cose notevoli: 1) l’antidoto all’ideologia è raccontare storie, 2) nell’ideologia lo sguardo è stretto dentro un pregiudizio, una definizione che è il fascino stesso dell’ideologia.
Nel lavoro sulla vita della Arendt ha espresso la critica ai seguaci del nazismo come “la rinuncia a pensare”, da questo l’evidenza della “banalità del male”, al contrario dell’idea di radicalità del male, perché radicale vuol dire nel profondo, e solo il bene è radicale, perché si esprime al livello della consapevolezza, della coscienza. La seconda evidenza proposta nel film è la logica del potere e delle mediazioni disastrose cercate fra alcuni capi ebraici e il governo nazista, mediazioni condotte con il fine di ridurre il genocidio degli ebrei. Qui si vede che il realismo delle logiche del potere ha tolto la libertà di denunciare il crimine contro l’umanità.
Ed ecco le riflessioni sulla libertà. Prima di tutto deve esserci la disponibilità al rimaner soli, nei momenti in cui le tue libere scelte non sono comprese.
Poi non è completa l’idea che il pensare salva. La libertà è del cuore insieme con la coscienza, altrimenti il pensare libero si perde nelle brume del tener conto del potere e del fare mediazioni per sopravvivere.
Infine la grande questione della libertà oggi, dove le ideologie non sembrano più esserci e tutto sembra appiattito nel prevalere del dubbio. E’ una domanda che hanno fatto alla regista, e lei ha dato una risposta strepitosa.
E’ vero che nel medioevo la definizione di ciò che è bene e di ciò che è male era data per tutti, per cui vivere voleva dire seguire le regole. Era una vita intensa, libera di costruire. Ma non è giusto dire che oggi le nebbie della modernità distruggono l’uomo, oggi ancora di più viene richiamata la libertà, sei tu che devi vivere dentro il reale e scoprire cosa è bene e cosa è male. La regista ha detto: “credo che Dio voglia la libertà degli uomini per l’emergere della verità”.
Non si può evitare la fatica di pensare e neppure trovare un antidoto alla solitudine.
Io vorrei ricordare il film “Gli anni di piombo”, la scena della sorella della terrorista che la va a trovare in carcere e guardandosi si scambiano il golf, come dire: il reincontro dell’umano dopo la valanga degli errori. In questo film la von Trotta aveva verificato il fascino dell’ideologia, un fascino perverso, che riduce l’umano ad un’etica astratta. Il gruppo dei terroristi fa vivere i singoli nell’obbligo dell’appartenenza. Ma si potrebbe estendere questa riduzione dell’umano alla stessa descrizione di sé che faceva la regista quando ha detto “eravamo di sinistra”. Il valore della solitudine che è compagna della libertà sta proprio nel fatto che non è un’appartenenza politica che salva. La personalizzazione della fede passa da questa solitudine che è mai sola, perché diventa dialogo con Dio: sei Tu che dai significato alla mia libertà.
Ringrazio il Centro Culturale di Milano, e verificate il mio resoconto andando a vedere il filmato.