Per uno che viva e lavori a Milano la festività di Sant’Ambrogio è un po’ l’anticipo del Natale. Finisce novembre con la sua atmosfera mesta e si accendono le luci: le bancarelle degli Oh bej! Oh bej, le prime sciate in montagna, la magia della Prima alla Scala.

Per i cristiani la solennità di sant’Ambrogio è anche la memoria di un grande Padre della Chiesa, uomo di governo e di libertà, prefetto della città e, a furor di popolo, suo vescovo prima ancora di ricevere il Battesimo. Colui che combatté l’eresia ariana, che battezzò sant’Agostino, che compose inni affinché il popolo non si rattristasse, che si oppose a Teodosio, che chiamò il fratello Satiro e la sorella Marcellina a collaborare alla sua opera, che infine morì serenamente, dopo aver ricevuto il Viatico dalle mani dell’amico Onorato, vescovo di Vercelli. “Ubi fides, ibi libertas” (là dove c’è la fede, lì è la libertà) e anche: “Cristo è tutto per noi”, tra i suoi motti più citati.



Ai primi vespri della sua festa, nella basilica a lui dedicata, il cardinale arcivescovo Angelo Scola, sulla scia dei suoi predecessori rivolge alla città di Milano la sua parola. Quest’anno la riflessione ha come titolo: “Un nuovo umanesimo per la città e le terre ambrosiane”.

La riflessione del cardinale Scola prende l’avvio, alla vigilia dell’importante evento di Expo 2015, dal rilevare quanto grave e diffuso sia lo scoraggiamento che si vive per il prolungarsi della crisi economica e per il tanto male presente nel mondo; il suo sguardo si allarga ben al di là della città e dell’Italia, per abbracciare le tante sofferenze dell’umanità intera, dalle persecuzioni in Iraq e in Siria, ai conflitti mai sopiti, all’endemica povertà del sud del mondo.



Tutto sembra chiedere che l’uomo venga rimesso al centro del pensiero e dell’azione. Certo non l’uomo creatore di se stesso e delle cose, artefice del proprio destino. A questo proposito il cardinale per chiarire il concetto di  nuovo umanesimo lascia la parola a sant’Ambrogio stesso, in un brano del suo commento al salmo 118: “Le tue mani mi hanno modellato. Dice ‘mani’, al plurale, e non ‘mano’. Nell’opera della creazione dell’uomo, sembra che non sia troppo ciò che sarebbe stato troppo per far esistere tutto l’universo. Con una sola mano ha stabilito il cielo, come sta scritto, mentre le due mani di Dio hanno dato forma all’uomo”.



E’ cioè l’uomo in relazione con Dio, con gli altri uomini, con il creato il soggetto che può edificare il nuovo umanesimo, l’umanesimo del dono di sé: il cardinale Scola usa qui una delle espressioni più limpide e commoventi dell’intero suo discorso. 

Egli passa poi a considerare quanto la terra lombarda debba alla concezione dell’uomo che viene dalla fede vissuta, fin dai tempi di Ambrogio, ma anche della costruzione della Ca’ Granda, dalle iniziative educative dei due Borromei, della cultura dell’illuminismo lombardo e di Manzoni fino agli istituti e alle opere di carità dell’Ottocento e del Novecento e annota come, proprio dentro la  frammentazione della società di oggi, siano presenti nuove forme di solidarietà e di vita comune.

La via per il nuovo umanesimo passa attraverso la necessità di “cercare l’uomo per cercare Dio”, secondo una felice espressione del cardinale Montini, da poco beato, ribadita in altri termini, ma con lo stesso richiamo, dal Concilio Vaticano II e dagli ultimi pontefici. Da parte sua il cardinale Scola dettaglia la strada da intraprendere, suggerendo come essa passi dal ridare valore ai corpi intermedi, in particolare alla famiglia, primo nucleo generativo di quella vita buona, secondo una delle sue espressioni più felici, che si estende poi alla scuola e al compito educativo, alla cultura nel senso più pieno e comprensivo di istituzioni, arte, bellezza. A questo proposito egli accenna solo, ma tale accenno appare nuovo e interessante, alla necessità di pensare il nesso tra carità e cultura.

La nostra, conclude il cardinale Scola, prendendo a prestito una immagine di papa Francesco, è una società poliedrica, fatta di innumerevoli facce che non è possibile ridurre a unità. Quale il compito e il contributo dei cristiani a tale complessità? Risponde il cardinale insistendo su concetti a lui cari e  facendo sue le parole di Gesù: “‘Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date’ (Mt 10,8). La bellezza della fede testimoniata in tutti gli ambienti dell’umana esistenza è il dono più prezioso che i cristiani possano offrire ai propri fratelli uomini. Nel pieno rispetto della società plurale, essi intendono offrirlo a tutti, certi di alimentare così quell’amicizia civica che è terreno di coltura del nuovo umanesimo”.