Regione Lombardia ha comunicato la formulazione della dote scuola per l’ a.s. 2014/2015. Eccone i principi: a) mantenimento della libera scelta educativa; b) eliminazione della sovrapposizione di finanziamenti nazionali, regionali e degli enti locali; c) aiuto alle famiglie con capacità economiche e patrimoniali minori, su base Isee. In questi tre punti l’assessore regionale all’Istruzione, Formazione e Lavoro Valentina Aprea ha sintetizzato i principi cui si ispira la nuova dote scuola approvata venerdì scorso su sua proposta dalla Giunta regionale della Lombardia.



Tre principi chiari, inequivocabili, che per un verso rappresentano un cambio epocale a favore delle famiglie in crisi economica, e per l’altro il tentativo di salvare il pluralismo educativo secondo il diritto.

Come è evidente, non può esistere libertà di scelta senza pluralismo educativo, che domanda necessariamente un sistema scolastico integrato, costituito di diritto e di fatto da scuola pubblica statale e da scuola pubblica paritaria. 



La dote scuola riafferma così che per salvare questa libertà di scelta occorre lanciare un’ancora di salvataggio anzitutto verso i destinatari fragili della scelta, cioè i futuri alunni della secondaria di I e II grado. Infatti si fa slittare la dote scuola dalla primaria (che scende a 200 euro per Isee da 28.001 a 38.000 euro) alla secondaria di primo grado (che sale a 1.000 euro per Isee da 28.001 a 38.000 euro), per raddoppiare alla secondaria di secondo grado (1.200 euro per Isee da 28.001 a 38.000 euro). Si tratta di un’operazione che destina 30 milioni di euro alla libertà di scelta, in una logica stringente, attraverso l’introduzione dell’Isee (reddito e patrimonio), rispetto al vecchio indicatore reddituale (reddito senza patrimonio). 



Al di là dei limiti strutturali di accertamento del reddito in un’Italia frammentata e indebolita, e alla luce dei rilievi e delle osservazioni raccolte dai cittadini lombardi negli ultimi anni, appare comunque pressoché inevitabile la proposta dell’assessore di introdurre sperimentalmente per il buono scuola l’utilizzo dell’indicatore Isee – che tiene conto anche del patrimonio immobiliare – a differenza del precedente parametro di riferimento che considerava soltanto il reddito. Le novità domandano sempre ricerca e studio assidui, e vogliamo credere che anche nel caso presente sarà così, considerando fra l’altro la stretta collaborazione in Regione fra le associazioni dell’ambito educativo e familiare e l’assessorato. 

Altrettanto positivo è il contributo per le famiglie con bambini in situazioni di disabilità indipendentemente dal reddito. 

Si guarda con aspettativa all’introduzione sperimentale del criterio della premialità legata a prestazione, livello di innovazione e collocazione geografica della scuola. Non mancheranno le opportune riflessioni da parte dei membri dei tavoli che in Regione sono attenti agli esiti delle decisioni assunte in merito alla dote.

Come in una medaglia, il recto e il verso, i punti di forza e i limiti sono le facce di una medesima realtà e sono altresì tanti i fattori che concorrono a produrla. 

Il cittadino guarda probabilmente alla dote scuola come ad una goccia in un frangente storico irto di innumerevoli difficoltà, ma ad una goccia significativa in un periodo storico in cui pesa molto: 1. il non libero esercizio del diritto della famiglia ad esercitare la propria responsabilità attraverso una libera scelta educativa; 2. un pluralismo educativo seriamente compromesso dalla chiusura di tante scuole pubbliche paritarie, che rappresenta un impoverimento della nazione: mentre si depaupera il patrimonio storico culturale della nostra Italia, di pari passo aumenta il suo debito poiché i sei miliardi di euro l’anno che lo Stato risparmia si trasformeranno in costi vivi; 3. la discriminazione dei bambini portatori di handicap sulla base della scuola che frequentano.

Mentre si assiste, tra lo stupore e lo sgomento, al perpetuarsi di ingiustizie di diritto e di fatto − oltre che illogiche in tempi di spending review − si constata che lo Stato, individuando il costo allievo e consentendo alla famiglia il libero esercizio della sua responsabilità educativa, oltre a compiere una azione di giustizia nel pieno adempimento dei principi della Costituzione italiana, salverebbe un patrimonio culturale che sta compromettendo sempre più e risparmierebbe miliardi di euro…

Si registrano a livello politico centrale scelte differenti che raccontano un’altra storia dal sapore amaro; di conseguenza si guarderà con favore a scelte locali differenti che, in un periodo di risorse scarse per la parte di competenza propria, destinino le “magre vaccherelle” in un tentativo disperato di salvare i principi di diritto.

Si riparta da qui. La famiglia possiede una sua specifica e originaria dimensione di soggetto sociale che precede la formazione dello Stato. Occorre infatti chiarire i rapporti tra famiglia e Stato superando un’errata sussidiarietà al contrario.

Un welfare capace di ristabilire l’armonia e il corretto ordine delle sue componenti, recuperando una dimensione “a misura di famiglia”, sarà la garanzia contro ogni deriva di matrice individualista o collettivista.