Con la sentenza del 2 aprile il Tar Lombardia sancisce a) la costituzionalità del buono scuola per la famiglia che sceglie la scuola pubblica paritaria, perché sia resa effettiva la scelta nell’ambito del servizio nazionale di istruzione, formato da scuole pubbliche statali e pubbliche paritarie; b) la necessità che rispetto al “sostegno al reddito”, consistente in buoni servizi di valore oscillante tra i 60 e i 290 euro in base al reddito familiare, ci sia un equilibrio tra alunni delle pubbliche statali e alunni delle pubbliche paritarie.



La Regione, per l’a.s. 2014/15, ha già giustamente eliminato, superando il ricorso delle due studentesse, la possibilità che gli alunni delle paritarie possano acquistare un paio di scarpette da ginnastica in più rispetto a quelli delle statali. Infatti, si tratta di una questione di logica aristotelica: rispetto a un vantaggio dovuto a motivo di un basso reddito, tutti gli studenti sono uguali. 



Altrettanto uguali dovrebbero essere – ma non lo sono – rispetto al diritto umano e costituzionale della libertà di scelta educativa (art. 30 della Costituzione) gli studenti che scelgono le scuole pubbliche paritarie nell’ambito dello stesso servizio pubblico. Oltre alle tasse, le loro famiglie pagano un contributo al funzionamento per la scuola pubblica paritaria che hanno il diritto di scegliere in un pluralismo educativo (altrimenti che scelta è?), come recita l’art. 33 della Costituzione. Scuole pubbliche statali e pubbliche paritarie fanno pienamente parte, per legge (62/2000) del sistema nazionale di istruzione. Entrambe svolgono un servizio pubblico, indirizzato cioè verso chi paga le tasse.



Infatti i giudici del Tar devono – per onestà intellettuale – dichiarare quanto segue, nelle motivazioni della sentenza depositata l’altro ieri: «La pluralità dell’offerta formativa è tale solo se i destinatari sono realmente posti nella condizione di accedere ai percorsi scolastici offerti» dalle scuole pubbliche paritarie, «perché solo così si tutela la libertà di scelta e si assicura la pari opportunità di accesso ai percorsi offerti dalle scuole non statali». Il divieto costituzionale di istituzione a spese dello Stato di scuole paritarie non esclude «la legittimità di misure finanziare dirette a superare le condizioni di svantaggio economico degli alunni», dal momento che le scuole gestite da enti o da privati «che ottengono la parità scolastica fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale dell’istruzione e svolgono un servizio pubblico».

Il fatto che il Tar abbia rilevato un’anomalia in rapporto ai benefici per i redditi bassi, lo porta necessariamente a doverla rilevare in rapporto ai diritti umani, che oggettivamente sono a monte.

Di conseguenza i giudici del Tar tolgono la pagliuzza mettendo in evidenza la trave. Infatti, a voler essere coerenti:

1. il Tar dovrebbe pronunciarsi per ritenere incostituzionale che lo Stato italiano non è ancora giunto a garantire l’esercizio del diritto alla libertà di scelta educativa (le fonti: la Costituzione Italiana, la legge 62/00, le due risoluzioni UE del 1984 e del 2012);

2. impossibile garantire un pluralismo educativo se la famiglia che intende esercitare il proprio diritto alla libertà di scelta educativa deve pagare. Chi sceglie, deve farlo in una pluralità di offerta alle stesse condizioni; 

3. il carattere di pubblico deriva dal servizio erogato a prescindere dal soggetto erogatore, come si deduca dalla legge 62/00 sulla parità scolastica; dunque tale servizio dovrebbe essere erogato con le tasse che i cittadini già versano.

Regione Lombardia anticipa la sentanza del Tar, prima ancora che sia pronunciata. Introduce infatti, per l’a.s. 2014/15, un buono scuola rinnovato, in base al Reddito Isee. È poca cosa, ma almeno la famigliola monoreddito del portinaio egiziano di Milano Centro Zona 1 può presentarsi di fronte alla pluralità di scelta educativa con il suo gruzzoletto. Avrebbe diritto a scegliere; lui paga le tasse, i bambini sono nati in Italia, la scuola pubblica paritaria piace sia a lui sia alla moglie… Ecco quindi l’offerta di Regione Lombardia: per la scuola primaria, 200 euro (per Isee da 28.001 a 38.000 euro); per la scuola secondaria di 1° grado 1.000 euro (per Isee da 28.001 a 38.000 euro); per la scuola secondaria di 2° grado 1.200 euro (per Isee da 28.001 a 38.000 euro).

Certo, se i bambini del portinaio andassero alla scuola pubblica statale, il padre nulla dovrebbe pagare, avendo già pagato le tasse; ma lui e la moglie desiderano scegliere, in una pluralità di offerta, un servizio che è pubblico. La famigliola, se invierà i propri figli alla scuola pubblica paritaria, dovrà pagare un retta (meno della metà di quanto spende lo Stato per il proprio alunno…) pur avendo già pagato le tasse. È qui che si inserisce Regione Lombardia con quella goccia in mare. Basterà? No di certo. I bambini dell’egiziano saranno accettati dalla scuola pubblica paritaria? Sì, se è una scuola sana e saggia che ha attivato risorse di fund raising proprio perché desidera anche questo tipo di utenza.

Naturalmente, Regione Lombardia, prima della sentenza del Tar, aveva ristrutturato anche il sostegno al reddito che per l’a.s. 2014/15 destina 10 milioni di euro per il diritto allo studio, per acquisto di libri di testo e dotazioni tecnologiche, riservato a studenti fino ai 16 anni (comprese le formazioni professionali) ed escluse le primarie (che già beneficiano di libri di testo gratuiti dal Comune). Niente più scarpette da ginnastica. 

Resta il dato che il welfare non può sostenere oggi costi aggiuntivi. Bisogna quindi spendere meglio, applicando il principio di sussidiarietà che, oltre ad avere una forte valenza etica, può produrre un risparmio economico fondamentale. Qui si inserisce la proposta di farparlare il costo standard per ogni allievo della scuola pubblica italiana, statale e paritaria. È questo l'”anello mancante” alla possibilità di ristrutturazione del sistema scolastico pubblico. Regione Lombardia compresa.