Il comunicato della società organizzatrice dell’Expo 2015, appena conclusa la visita a Milano del premier Matteo Renzi, è chiaro ai limiti della spietatezza. Almeno così lo legge lo “spillista” del Sussidiario: forse con qualche consapevole, magari colpevole forzatura, ma come sempre a sforzo di comprensione di quanto accade. Che raramente può assomigliare alla trama di un film d’antan: in cui i “buoni” (per definizione) arrivano in tempo per cacciare i “cattivi” (quelli di sempre) e garantire l’happy ending.
La governance dell’Expo viene radicalmente spacchettata e la società guidata con poteri commissariali da Giuseppe Sala viene super-commissariata: il tutto sotto gli occhi di tutti i lombardi presenti al tavolo (il presidente della Regione Roberto Maroni, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, i ministri Maurizio Lupi e Maurizio Martina). Il sistema-Milano se lo è meritato? Certamente non ha saputo governare molti processi in città e attorno all’Expo: neppure le lotte intestine dentro il Palazzo di giustizia. A Roma per vicende analoghe (ad esempio, l’organizzazione dei mondiali di nuoto) le inchieste sono arrivate dopo l’evento e sono finite in poco o nulla. Mentre dormono i dossier sulle discariche, nessun inquirente ha mostrato finora di volersi occupare della gestione-appalti di una metropoli che si candida a ospitare le Olimpiadi, ma intanto ha dovuto essere salvata dalla bancarotta con un decreto apposito e omonimo.
Ma al tavolo dell’Expo si siede ora anzitutto la capitale. Presso la presidenza del Consiglio viene istituito un “ufficio di coordinamento tecnico-amministrativo”, con compiti apparentemente burocratesi: “Curare la messa in atto dei provvedimenti necessari alla realizzazione e allo svolgimento dell’Esposizione Universale”. Nei fatti sarà questa la cabina di regia, il “commissariato” ultimo dell’Expo.
La struttura – dicono le indiscrezioni più accreditate – verrebbe guidata da Elisa Grande, uno dei vicesegretari generali della Presidenza del Consiglio: salita comunque alla ribalta come capo-dipartimento per l’editoria durante l’ultimo governo Berlusconi, quando tuttavia si vide costretta a lasciare l’incarico dopo che il suo nome era comparso in alcune intercettazioni dell’inchiesta cosiddetta P4.
A un secondo organo (l’Autorità nazionale anti-corruzione) viene invece esternalizzato l’effettivo “audit” sulle scelte operative dell’Expo: è peraltro un ente appena attivato e appena affidato a un procuratore antimafia, il napoletano Raffaele Cantone. A prescindere dal profilo di Cantone (che vanta un impegno concreto e difficile sul fronte anti-camorra), un magistrato assume quindi una funzione di “controllo esecutivo” nell’organizzazione di un’Expo il cui destino viene oggettivamente orientato da ondate successive di arresti cautelari “non condivisi” fra vari magistrati della Procura di Milano, in aperto conflitto anche in questi giorni durante il “processo” in corso davanti al Csm.
La direzione generale acquisti – occupata prima degli arresti da Angelo Paris – sarà invece pilotata da Marco Rettighieri. Un super-tecnico ferroviario di lungo corso. Il curriculum dice che arriva all’Expo dalla direzione operativa di Italferr, società di engineering delle Fs. Lì Rettighieri è comunque approdato da appena due mesi e il suo avvicendamento come direttore generale della Ltf (la società italo-francese che sta costruendo la Tav fra Torino e Lione) ha suscitato reazioni polemiche soprattutto da due senatori del Pd piemontese come Stefano Esposito e Daniele Borioli. I quali, a loro volta, si erano ritrovati al centro di altre voci polemiche: i due parlamentari avevano parlato di “sgarbo” fatto dall’amministratore delegato delle Ferrovie Mario Moretti, ex sindacalista della Cgil peraltro in uscita verso Finmeccanica nel giro di nomine deciso da Renzi.
Qualcuno – certo per eccesso di dietrologia e malizia – ha visto un po’ d’ansia da parte della sinistra piemontese sul futuro degli appalti Tav. Rettighieri – dirigente molto vicino a Moretti – a Italferr era d’altronde in parcheggio: in attesa che l’organigramma manageriale delle Fs venisse sistemato nel dopo-Moretti. Polemico con il premier sugli stipendi dei top manager pubblici – il potentissimo capo-azienda delle rotaie – ma premiato il mese scorso con la poltrona pubblica forse più strategica e ambita assieme a quella dell’Eni.