Il buono scuola incassa l’ennesimo risultato utile a proseguire sulla strada della concreta attuazione della libertà di scelta educativa. Già su queste pagine si era approfondita la notizia di una recente sentenza del Tar (2 aprile scorso) che dava atto, con dovizia di analisi, della coerenza col quadro costituzionale della dote scuola (e in particolare della sua componente più “discussa”: il buono scuola destinato agli iscritti alle paritarie), riconoscendole oltre tutto il merito di introdurre un’effettiva parità di trattamento tra tutti gli studenti.
Un successo che si è aggiunto ai tanti altri riconoscimenti che negli anni hanno fatto del buono, prima, e della dote poi, una delle più concrete leve per attuare la parità scolastica, il riconoscimento cioè che istituti statali e non statali concorrono parimenti a fornire un unico servizio pubblico di istruzione.
Leggi e sentenze a favore, tuttavia, non hanno evitato il fiorire di strumentalizzazioni che in questi giorni si sono giocate in chiave elettorale. Così vanno lette le due mozioni che il Partito democratico, la lista Patto civico e il Movimento 5 Stelle hanno presentato in Consiglio regionale della Lombardia martedì scorso. Il sistema introdotto in Regione favorirebbe, secondo la loro accusa, gli studenti delle paritarie a danno di quelli delle statali.
Pur facendo riferimento alla sentenza di cui sopra, entrambe le mozioni si sono ben guardate dal riferire il giudizio largamente positivo del Tar sul buono scuola. Hanno sollevato, invece, l’unico punto messo in discussione che riguarda una componente della dote – chiamata Integrazione al reddito – già modificata dall’attuale Giunta prima ancora che il Tribunale si pronunciasse. Ne è nato, quindi, un lungo dibattito in aula privo di fondate eccezioni giuridiche ma dal chiaro sapore elettorale. Le mozioni sono state ovviamente respinte.
È dall’anno 2000 che Regione Lombardia mette in tasca alle famiglie che iscrivono i propri figli agli istituti paritari un buono variabile a seconda dell’indicatore reddituale di ognuna. A motivare la scelta non c’è alcun trattamento di favore, semmai lo scopo di eliminare – purtroppo solo in parte – la discriminazione subita da queste famiglie nel pagare due volte l’istruzione ai propri figli: una col normale prelievo fiscale, l’altra con le rette di frequenza che queste scuole richiedono per sopravvivere.
E qui sta l’altro grave vulnus del sistema di istruzione nazionale. Nonostante sia riconosciuta per legge (la n. 62 del 2000), la parità scolastica è tutt’oggi inattuata dal punto di vista economico. Gli istituti non statali, infatti, pur facendo salvo il rispetto degli standard qualitativi imposti a chi eroga un servizio pubblico, si vedono arrivare risorse largamente insufficienti a coprirne i costi. Anzi, le vedono diminuire di anno in anno.
Col sistema dote, Regione Lombardia supplisce al ruolo dello Stato nell’attuazione – sia pure parziale – di una legge voluta e approvata dalla sinistra (governo D’Alema, ministro Berlinguer). E lo fa non con un finanziamento diretto alle scuole, ma consegnando un buono alle famiglie, cui è lasciata così la responsabilità di scegliere dove meglio spendere quei soldi per la formazione dei propri figli.
Anche dal punto di vista dei costi per lo Stato, infine, fior fior di analisi hanno evidenziato da tempo che la presenza degli istituti paritari di ogni ordine e grado consente alle casse pubbliche un risparmio notevole, che arriva a toccare la cifra di 6,3 miliardi di euro l’anno. Immaginate quale carico dovrebbe sobbarcarsi il Paese se un domani queste scuole chiudessero. Stiamo parlando di opere educative nate e cresciute ben prima dello Stato grazie all’intrapresa di persone amanti del proprio e dell’altrui destino. In Lombardia la buona politica continua a mettersi al loro fianco.
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Luca Del Gobbo è capogruppo di Ncd nel Consiglio regionale di Regione Lombardia