Quando si inizia a svoltare? O meglio, cosa segna una vera svolta? Se ci pensiamo, non è tanto ciò che accade, ma un punto di vista che apre prospettive nuove. È questa l’ambizione di Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi (Feltrinelli) di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, sociologi dell’Università Cattolica, presentato lunedì sera al Centro culturale di Milano, insieme al filosofo Silvano Petrosino e a Giorgio Vittadini, presidente di Fondazione per la Sussidiarietà. Sottotitolo un po’ pomposo, ma la tesi è tutto sommato semplice, come sintetizza Magatti: l’uomo moderno, in crisi, può fare “un passo in avanti se impara a capire che le catene se le porta dentro o è lui che le genera attorno a sé”.
Dopo averne fatto la bandiera della nostra epoca, osserva il sociologo, non sappiamo davvero cosa fare della nostra libertà, “siamo passati da una società gerarchica a una società piatta. Questo, i nostri padri, non l’avevano previsto”. Il fatto è che l’immaginario che riguarda questa parola è “povero e mutilato” – sottolinea la Giaccardi -, la nostra è una libertà sempre virtuale, un “puro vuoto dell’essere possibile”, “l’essere possibile che non può realizzarsi, privo dell’amore che genera”, come diceva la filosofa Maria Zambrano. Si chiede la Giaccardi: “È questa la libertà che vogliamo regalare ai nostri figli, per cui i nostri nonni hanno combattuto?”.
Cercando di ridare spessore alle parole che “sono dei mondi, non sono delle etichette che pretendono di esaurire l’oggetto cui si appiccicano”, gli autori propongono una riflessione che si snoda attorno alla parola “generatività”, termine preso in prestito dallo psicologo Erik Erikson che la usava per indicare il superamento dallo stato adolescenziale tipicamente auto-centrato. Generatività che si oppone a individualismo e sottolinea il nostro essere costitutivamente “interdipendenti e dipendenti, esseri in relazione, esseri parlanti, esseri messi al mondo da qualcuno, esseri situati”. Ed è significativo che – come ricorda Petrosino – l’etimologia di “libero” sia “figlio”: “se non sei in un rapporto di riconoscimento sei preda di quello che hai intorno”.
La sociologa della Cattolica nota come “nell’antichità erano gli schiavi a non avere legami e le persone libere erano invece quelle che avevano molte responsabilità, impegni, doveri nei confronti della comunità” e si chiede: “Non è singolare che noi oggi definiamo la libertà con i caratteri di quella che nell’antichità era la schiavitù?”. Cosa è allora questa nuova libertà che genera? Ancora Magatti: “È una libertà che ascolta, semplicemente, che non è autistica, è una libertà che, semplicemente, impara a capire che tutta la propria spinta, il desiderio, la voglia di fare, di affermarsi positivamente, di intraprendere, tutto ciò che è la spinta dell’io ha bisogno di fare i conti con l’altro da sé”.
Il messaggio “generativo” esposto nel volume è declinato in quattro verbi: desiderare (movimento di trascendenza continua perché nessun oggetto soddisfa mai pienamente un desiderio); mettere al mondo (non solo biologicamente); prendersi cura (senza questo l’azione è pura estemporaneità); lasciare andare (gli altri non sono emanazione di noi stessi). Tocca a Petrosino, che ha sottolineato come il merito del libro sia quello di individuare una grammatica propositiva, fare un passo oltre nel ragionamento: “l’uomo ha una ferita che non si rimargina, si trova al bivio tra il rifiuto e l’accoglienza del suo essere un ‘non tutto’, ma non per questo pensare di essere un niente”. Continua il filosofo: “che la vita sia relazione è scontato: può essere considerata una frase da Baci Perugina. Il nome che la vita ha nella relazione è guerra, fame. L’esperienza è ciò che ti fa riconoscere che l’altro non è riducibile al tuo appetito”. Ma c’è un’alternativa, l’accoglienza, perché “Dio promette la terra e dà una discendenza”.
Giorgio Vittadini, sottolineando il criterio fondamentale del libro secondo cui non c’è reale cambiamento se non c’è un cambiamento di sé, ha messo in guardia dal rischio di una libertà come riproduzione di un già saputo, magari garantita da un’appartenenza anche religiosa. E ha usato l’immagine del rafting per indicare quanto una libertà viva apra ad un rapporto con la realtà vigile, imprevisto sempre in movimento. Con la crisi del 1989 e con la crisi finanziaria – ha concluso Vittadini − è finita l’epoca contemporanea, cioè è finita quell’idea di economia, di stato, e tutti quei sistemi di pensiero che oggi ci obbligano a porre “le premesse per un nuovo mondo, che però si costruisce andando alle radici dell’io”.
L’idea del libro infine è un’idea di libertà come energia costruttiva capace di investire di nuova prospettiva la società, che diventa espressione di diversità; e l’economia, incentrata sull’investire, produrre valore, generare, anziché sul consumare. Il libro prospetta infatti una strada politica nel senso più ampio del termine, indicando alcuni strumenti concreti: reinvestimento sull’educazione per la capacitazione, ripensamento dell’impresa come comunità in cui si produce valore, investimento sulla rete , affermazione della libertà religiosa.