Già da tre anni, in questo periodo, quello che più desidera il contribuente italiano è che il Governo, le Regioni, i Comuni e via dicendo facciano finalmente chiarezza sulla natura, e quindi su una equa applicazione, delle imposte che riguardano gli immobili e il recupero di fondi per far sì che i vari enti possano fornire i servizi accessori alle proprietà individuali e al cittadino (manutenzione strade, raccolta differenziata e non dei rifiuti, segnaletica, sicurezza, ecc.). Tale pressante esigenza riguarda in particolare le città i cui bilanci consuntivi sono in perenne deficit a causa della chiusura dei “rubinetti” centrali.
Nel 2012, il Governo Monti ha partorito, dopo un complicatissimo travaglio, le norme attuative della “sciagurata” Imu che ha sostituito la vecchia Ici, tassa sulla casa il cui disegno di legge ha girato inevaso tra vari tavoli parlamentari e dei vari ministri competenti da oltre un quinquennio. La tragicomica della disputa tra Stato e amministrazioni locali per chi dovesse incassare il balzello ha fatto epoca ed è stato solo la punta dell’iceberg. L’anno successivo, dopo le varie promesse elettorali, è balzata alla ribalta la vicenda “Imu prima casa”: si doveva pagare o no, chi doveva decidere se imporla, i Comuni che spingevano in tal senso o i partiti e il Governo che non sapevano più che pesci pigliare? Sono state sprecate in tal senso, da parte di tutti noi, fiumi di parole per una insulsa “querelle” tipica del nostro Paese.
Rendendosi conto che il cittadino medio diventava sempre più frustrato e fortemente “incavolato”, alcune personalità fra le più sensibili, esperti, membri dei vari comitati scientifici specializzati in problematiche fiscali “decentrate”, alla fine dell’anno passato, hanno tirato fuori dal “cilindro” un nuovo pacchetto di tasse locali che dovevano sopperire alle esigenze dell’attuale gettito tributario a favore delle sempre più povere casse delle amministrazioni comunali. Si è creato un raggruppamento in diverse sigle. C’è la Iuc, “regina” di tutti i tributi locali, una specie di “santuario” dell’imposte che i Comuni debbono applicare per rispondere a un funzionamento strutturale della città, cioè alla copertura finanziaria di quei servizi che ogni organizzazione che gestisce e opera in un agglomerato urbano, che si tratti di metropoli o piccoli paesi, necessita quotidianamente. L’Imu è stata mantenuta sulle seconde case, comprese quelle date in affitto, magazzini, garage, negozi, ecc.. Abbiamo quindi la Tari – ex Tarsu (tassa rifiuti) – e la neonata Tasi, introdotta a fine primavera 2014 come imposta che raggruppa la tassazione comunale sulle prime case, in parte sugli immobili commerciali e quelli dati in affitto e su tutti i servizi cittadini che riguardano le viabilità, la pulizia delle strade, la gestione del verde, la segnaletica, ecc.
L’istituzione di tale tributo, voluto fortemente dagli Enti locali e anche per questo, come tutti gli iter normativi nostrani, figlia di lotte intestine fra rappresentanze parlamentari, Commissioni, Sindaci, Governatori, ecc., è andata definitivamente in “porto”. Una volta approvato il testo di legge, le giunte comunali competenti hanno dovuto far fronte allo scoglio dell’applicazione, cioè, in soldoni, quanto far pagare! Le amministrazioni comunali più piccole, e per questo più agili, hanno approvato i criteri applicativi e le aliquote entro il temine del 16 giugno (prima rata) mettendo quasi tutti i propri cittadini in condizione di pagare senza difficoltà alcuna, mentre, come al solito, nelle città più grandi, già recidive e per cui sono ovvie le ragioni, si è portato il tutto al 16 ottobre (prima rata) e in alcuni casi a dicembre (rata unica).
Mi soffermerò su Milano, in quanto è il mio Comune di residenza e di lavoro, ma il sistema adottato dalla Giunta Pisapia non si discosta di molto dalle altre grandi città italiane. Come il milanese deve calcolare la propria Tai? Qui arrivano le “note dolenti”: Il calcolo, applicando la nuova aliquota deliberata in questi giorni, è del tutto uguale all’Imu sulla prima casa di due anni fa, e cioè: rendita catastale(appartamento+pertinenza) diviso il numero dei proprietari x 1,05 (rivalutazione) x 160 (moltiplicatore Imu) x aliquota del 2,50 per mille.
Dopodiché si applicano le detrazioni. Le nuove detrazioni a Milano vanno da un minimo di 24 euro per chi ha una rendita catastale tra i 600 e i 700 euro a un massimo di 115 euro per chi ha una rendita catastale fino a 300 euro. In particolare, è prevista una detrazione di 115 euro per le abitazioni con rendita catastale fino a 300 euro; di 112 euro per le abitazioni con rendita catastale fino a 350 euro; di 99 euro per le abitazioni con rendita catastale da 350,01 a 400 euro, a condizione che il reddito complessivo del soggetto passivo, come determinato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, non sia superiore a 21mila euro; una detrazione di 87 euro per le abitazioni con rendita catastale da 400,01 a 450 euro, a condizione che il reddito complessivo del soggetto passivo non superi i 21mila euro; una detrazione di 74 euro per le abitazioni con rendita catastale da 450,01 a 500 euro, sempre che il reddito non superi i 21mila euro; una detrazione di 61 euro per le abitazioni con rendita catastale da 500,01 a 550 euro; di 49 euro per le abitazioni con rendita catastale da 550,01 a 600 euro; e di 24 euro per immobili con rendita catastale tra 600,01 e 700 euro. Prevista anche la detrazione di 20 euro per ciascun figlio di età non superiore a 26 anni, purché dimorante abitualmente e residente anagraficamente nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.
Faccio tre esempi pratici per cercare di essere il più chiaro possibile:
1- Famiglia di due coniugi con due figli a carico al 50%, entrambi con reddito inferiore ai 21mila euro con un appartamento+box con rendita catastale totale di € 500
Entrambi i coniugi 250 x 1.05 x 160 x 2.5 per mille = 105 – detrazione di 30 – 20 (2 figli al 50%) totale € da pagare in 2 rate.
2- Famiglia di due coniugi con due figli a carico al 50%, 1 solo con reddito inferiore ai 21mila euro con un appartamento+box con rendita catastale totale di € 500
1° coniuge (con meno di 21.000 euro di reddito): 250 x 1.05 x 160 x 2.5 per mille = 105 – detrazione di 30 – 20 (2 figli al 50% totale) € 55 da pagare in 2 rate.
2° coniuge (con più di 21.000 euro di reddito): 250 x 1.05 x 160 x 2.5 per mille = totale € 105 da pagare in 2 rate.
3- Famiglia due coniugi con due figli a carico al 50%, 1 solo con reddito inferiore ai 21mila euro con un appartamento+box con rendita catastale totale di € 800
1° coniuge (con meno di 21.000 euro di reddito): 400 x 1.05 x 160 x 2.5 per mille = 168 – detrazione 20 (2 figli al 50%) totale € 148 da pagare in 2 rate.
2° coniuge (con più di 21.000 euro di reddito): 400 x 1.05 x 160 x 2.5 per mille = totale € 168 da pagare in 2 rate.
È facile dedurre che il contribuente che ha più di 21.000 euro di reddito non ha diritto a nessuna detrazione, mentre con una rendita catastale superiore ai 700 euro (da poi dividere per quota di possesso) ha diritto solo a quella dei figli (fino a 3) se li ha e se non supera la soglia del reddito detta prima. Oltre la prima casa (dove l’aliquota è fissa al 2.50 per mille) viene applicata l’aliquota del 0.8 per mille per gli immobili di lusso, quelli dati in affitto e quelli commerciali che va a sommarsi all’Imu ordinaria, il tutto senza detrazioni. Pagano anche gli inquilini, ma nella misura del 10% della cifra Tasi totale.
Per ora non faccio commenti o paragoni con il passato, anche perché non è ancora tutto chiaro: attendiamo la raccolta dei balzelli che si preannuncia molto problematica (manca meno di un mese alla scadenza!). Due cose però le posso dire: la prima è che ho forti dubbi che questa imposta sommata alle altre della serie Iuc sia più conveniente, come affermato più volte dal Sindaco Pisapia, per il contribuente in confronto agli anni scorsi a prescindere alla classe sociale di appartenenza e dai redditi individuali; la seconda è che puntando il calcolo su detrazioni in relazione alle rendite catastali, i cittadini delle grandi città, dove gli immobili valgono notevolmente in più della media nazionale, saranno certamente più penalizzati.
Insomma, non c’è pace su questa “terra” per il povero contribuente italiano!