Verderio, un paese di poco più di 5mila abitanti, è situato tra il territorio collinare della Brianza e l’area pianeggiante della bassa provincia lecchese, un territorio a forte vocazione agricola ed imprenditoriale, che offre oggi diversi e interessanti siti di archeologia industriale: dalle centrali idro-elettriche sul fiume Adda all’imponente ponte in ferro di Paderno — la cui rilevanza dal punto di vista storico è pari a quella della coeva Torre Eiffel, eretta con le stesse tecnologie e tempistiche —, al traghetto progettato da Leonardo da Vinci che tuttora  attraversa il fiume da Imbersago, per non parlare del famoso villaggio Crespi, insigne esempio di villaggio operaio voluto da una famiglia di industriali per le proprie maestranze.  



Grazie all’opera di un proprietario terriero, illuminato e solitario anticipatore di tendenze future, il borgo conobbe verso la metà dell’Ottocento delle novità significative.

Il signore in questione è il conte Luigi Confalonieri (1805-1885), fratello del più noto Federico, il cospiratore milanese che, insieme a Piero Maroncelli e Silvio Pellico, fu condannato nel 1821 dal governo austriaco alla prigionia nel carcere dello Spielberg. Mentre Federico moriva nel 1846, Luigi si dedicava alle proprietà di famiglia, e abitava una grande villa al centro di Verderio Superiore (l’attuale Villa Gnecchi Rusconi), dove possedeva la quasi totalità delle case e delle cascine nonché circa 560mila mq di terra.



A fronte di un suo lungimirante progetto di sviluppo dell’agricoltura volto all’incremento della produzione ma anche al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro del contadino, a Verderio egli fece costruire a sue spese nuove strade, dal tracciato più lineare e più funzionale facilitando il decentramento delle cascine, e concesse a questo scopo del terreno suo. 

Nel 1856 edificò una maestosa e grande cascina che chiamò La Salette e l’affidò ad un nucleo di famiglie di contadini che così erano più vicini ai campi da coltivare. Nel contempo stipulò nuovi contratti coi coltivatori che divennero affittuari e non più mezzadri. La Salette, recentemente ristrutturata e rinnovata per altri scopi, era ed è tuttora una delle più belle cascine lombarde. Deve il proprio nome alla località delle Alpi francesi famosa per l’apparizione della Vergine avvenuta proprio dieci anni prima e a cui il conte Confalonieri era molto devoto: al centro delle abitazioni volle una cappella — tuttora esistente — dove fece portare una statua a grandezza naturale della Vergine e dei due veggenti. 



Tra l’altro, a riprova della sua generosità, c’è l’acquisto nel 1855 da parte del conte Luigi del complesso di Concesa a Trezzo sull’Adda — chiesa e convento — che era stato incamerato a suo tempo dalla Repubblica Cisalpina e trasformato in filanda, e la riconsegna del tutto ai Carmelitani Scalzi.

Ma soprattutto — ed è quello che qui più ci interessa — egli l’anno dopo ideò e realizzò un innovativo edificio tanto utile quanto originale: un essiccatoio che doveva servire ad essiccare le  granaglie in tempi brevi dopo la raccolta, in modo da anticipare l’immissione sul mercato di un prodotto eccellente e spuntare tra l’altro un prezzo più vantaggioso.

Il progetto, concluso nel 1857, fu realizzato grazie all’intervento di Gaetano Besia, molto attivo a Milano e nei dintorni, amico e architetto di fiducia della famiglia Confalonieri, autore anche de La Salette.  

La parte essenziale è un ampio cortile rialzato di circa 650 mq, costituito da pesanti lastre in granito leggermente scostate l’una dall’altra, con un’impercettibile inclinazione per impedire il ristagno dell’acqua piovana. Quella che a prima vista sembra una terrazza poggia su grandi pilastri di mattoni e muri in sasso che scandiscono in vari corridoi lo spazio sottostante scavato nel terreno: ciò per favorire la circolazione dell’aria ed impedire un eccessivo calore che avrebbe bruciato i cereali. L'”aia” è addossata ad un edificio a base rettangolare, a cui si accede da una breve scala coperta da un piccolo pronao con colonne in arenaria, che ospitava i locali per la registrazione dei prodotti consegnati e altre minime necessità burocratiche. Anche qui troviamo delle soluzioni geniali e innovative (come le persiane a scomparsa e i serramenti ad apertura verticale) considerata l’epoca e la destinazione d’uso.

Chi transita per Verderio non può non notare la costruzione, finemente decorata, dalle linee semplici ed eleganti. Le finestre hanno cornici dalle forme arabeggianti. La facciata ha un  rivestimento policromo: ocra, azzurro, terra bruciata, colori che ricordano gli elementi Terra-Acqua-Aria-Fuoco. La geometria delle decorazioni è basata su stelle a otto punte (simboli dell’attività) contenute in esagoni (simboli della passività); la stella a otto punte a sua volta è costituita da due quadrati sovrapposti incrociantisi. Quindi è proposto il ritmo positivo/negativo, maschile/femminile, presenza/assenza.

Sul tetto svetta un grosso comignolo ottagonale di rame, anch’esso denso di significati simbolici. Al culmine troviamo una “luna a barchetta”, simbolo di fertilità, di femminilità, di maternità nella cultura ancestrale dei popoli — è presente come un piccolo diadema sulla statua di Diana nel parco della ex Villa Confalonieri poco distante — ed è diventata nei secoli la base su cui spesso  poggia l’immagine della Vergine Maria. La “cipolla” sottostante non è che il globo terrestre, leggermente schiacciato ai poli. Infine, il comignolo ha base ottagonale: fin dal Medioevo cristiano l’ottagono è simbolo della vita rinnovata col battesimo, del passaggio alla redenzione dopo i sette giorni della creazione ed è per questo che molti battisteri hanno la pianta ottagonale.  

L’essiccatoio funzionò per circa un secolo per essere abbandonato nel 1962 e patì decenni di incuria. Oggi ci sono delle macchine che provvedono a questa operazione.

Agli inizi degli anni Novanta furono i coniugi Angelo Verderio e Ornella Cannaveri, colpiti dal fascino del sito (nel frattempo riconosciuto di interesse storico-artistico e sottoposto alla tutela del ministero dei Beni Culturali), a pensare ad un possibile acquisto dell’edificio e fecero dei passi in vista di un suo recupero. Le difficoltà non mancarono ma alla fine il sogno si avverò: dal 2006 l’intero complesso, restaurato e ristrutturato a regola d’arte, ospita gli uffici direzionali della Coverd, azienda fondata dai coniugi e già attiva in paese. 

Nella parte ipogea la lungimiranza degli attuali proprietari ha voluto allestire un museo della vita contadina nel Novecento, chiamato appunto l’Aia. Lungo i sette cunicoli disegnati dai pilastri e dai muricci di pietra sono stati ricostruiti cinque ambienti con scene di un’antica fattoria e dei luoghi di vita di allora (cucina, lavanderia, falegnameria, camera da letto, ricovero degli attrezzi). Davvero moltissimi sono le immagini, gli attrezzi, le suppellettili — magari ancora in uso fino a qualche decennio fa — raccolti dalle tantissime cascine della Brianza con paziente cura dalla famiglia o spesso donati da amici ed estimatori del progetto. La Coverd ha approntato inoltre due pubblicazioni sull’Aia e sul “Museo Vita contadina del Novecento”, grazie anche alla collaborazione di Marco Oggioni, appassionato esperto di storia locale.

Oggi il museo è aperto al pubblico: viene visitato da numerosi gruppi di scolaresche e non, fa parte del percorso museale della provincia di Lecco, è inserito nel programma degli edifici storici Ville Aperte in Brianza, è stato teatro di varie iniziative culturali come la lettura di Dante, molto partecipata. Il valore aggiunto è dato dalla presenza di Angelo Verderio che con premurosa gentilezza si presta a guidare le visite, illustrando con passione storia e realtà della sua “creatura”. Il Museo si trova in via Sernovella 1 a Verderio (Lecco). Le visite vanno prenotate presso Coverd, tel.039 512487 o info@coverd.it Sul sito www.coverd.it  si trova un video con la storia dell’Aia e del suo restauro.