Sulla dinamica effettiva, sui protagonisti, sulla matrice dell’accoltellamento dell’ebreo israeliano Nathan Graff, che lavora a Milano per la certificazione del cibo Kosher, sono ancora in corso le indagini. In attesa di capirci qualcosa in più, occorre tener ben vigilati i confini che dividono il certo dall’incerto, la riflessione ponderata dalle emozioni e dalle paure del momento. Non è certo che si tratti di un’estensione strategica qui in Europa delle tecniche palestinesi di assassinio di civili, quali sono applicate in questi giorni in Israele e in Cisgiordania. E’ un’ipotesi tutta da verificare.



Non è neppure certo che si tratti di emulazione spontanea dei gesti omicidi, che caratterizzano la lotta politica nell’intero Medio oriente in questa fase. Perciò appaiono atti di strumentalizzazione volgare e senza pietà per la vittima le accuse di Maroni al governo, che non garantirebbe la sicurezza a Milano, o quelle di Salvini, che imputa il gesto alla facilità con cui abbiamo aperto le frontiere a migliaia di profughi in fuga. Critiche legittime, ma fuori luogo qui e ora.



Ci sono, però, alcune certezze.

La prima è che l’anti-semitismo è sempre aggressivo. L’ebreo ortodosso, ben individuabile per la kippà e per i caratteristici vestiti che indossava, è stato colpito dalla stessa cultura che a Parigi ai primi di gennaio, in collegamento con la strage di Charlie Hebdo, ha preso di mira un supermercato della catena kosher Hypercacher, al centro del quartiere ebraico parigino. A Milano l’accoltellamento è avvenuto nel quartiere ebraico, davanti al ristorante Kosher “Carmel”, in Via San Gimignano, un ristorante frequentato dagli studenti della scuola ebraica.



La seconda è che l’antisemitismo ideologico copre l’antisionismo politico, sono due facce della stessa tesi: che Israele deve sparire dalla carta geografica del Medio oriente. Non si spiega, in altro modo, perché l’azione e spesso gli errori dei governi israeliani vengano fatti pagare a ebrei cittadini di altri Paesi.

Si può essere legittimamente contrari alla politica di colonizzazioni del governo Netanyahu. Ma allora perché uccidere — o tentare di farlo — civili ebrei, israeliani o no, che abitano a Milano o a Parigi? Uccidere un ebreo a Milano non è lo stesso che uccidere un ebreo a Gerusalemme. Là potrebbe essere “solo” antisionismo — far sparire Israele —, qui a Milano è antisemitismo: annientare gli Ebrei. Vero è che talora anche le comunità ebraiche e le loro istituzioni commettono, a loro volta, un errore simmetrico: quello di difendere ciecamente ogni azione dei governi di Israele, come se le critiche a questi governi fossero automaticamente imputabili di antisemitismo e di antisionismo. Proprio in questi giorni la Commissione europea ha deciso di etichettare i prodotti che provengono dai territori della Cisgiordania in maniera diversa da quelli di Israele. Decisione logica, visto che né l’Unione europea né la comunità internazionale riconoscono quei territori come parte di Israele.  

Eppure, alcuni rappresentanti della Comunità ebraica in Italia e in Europa hanno paragonato questa scelta a quella del nazismo di apporre una stella gialla su persone e negozi. Se costoro confondono ebraismo, sionismo e politica concreta di un governo, finiscono per offrire un alibi ai loro avversari antisemiti e antisionisti. Difendere gli Ebrei, difendere l’esistenza dello Stato di Israele non equivale a dare copertura alle colonizzazioni di Netanyahu e della destra israeliana.

La terza certezza è che la questione mediorientale sta imputridendo, per colpevole inerzia e per miopia delle grandi potenze: Usa, Urss, Unione europea. Mentre quest’ultima è un fantasma — sotto il cui lenzuolo si nascondono spesso iniziative discutibili o inefficaci di alcuni Stati europei come la Francia, la Gran Bretagna, la Germania — Usa e Russia, Iran e Turchia alimentano guerre locali e terrorismo, si combattono per interposta persona. L’illusione di confinare i conflitti fuori della fortezza europea è ormai al tramonto.

Il gesto vigliacco perpetrato a Milano è parte e conseguenza di questo scenario drammatico.