Con il suo titolo suscita un immaginario vertiginoso di cose, persone e situazioni ma appena sfogliato in ordine sparso ha la rara immediatezza di rivelare – tra titolazioni e istantanee – la ragione della sua intima sottigliezza. Qui c’è la canzone milanese ma soprattutto il fatto straordinario, unico e fisico della canzone a Milano.
La canzone milanese offre lo spunto principale ma man mano che ci si addentra nella sua visione globale quest’opera rivela quasi una sua seconda natura, un prezioso escamotage per un avvincente allargamento di prospettiva. E allora la lettura si distende in un viaggio appassionante alla scoperta della Milano che attrae e nutre movimenti artistici e tendenze culturali fino ad una più umile necessità quotidiana di sopravvivenza. Musica come mezzo e fine per vivere, sopravvivere e assaporare la vita.
Ne “La Canzone a Milano – dalle origini ai giorni nostri” (Hoepli, 245 p.) splendida e monumentale opera di Andrea Pedrinelli, Milano è allora la città della canzone milanese e non solo, emerge piuttosto una sua visuale complessiva di collettore di tutto ciò che si è mosso dalle origini ad oggi intorno alla città, per nascita, estro o per pura necessità, talvolta per puro affarismo. Come titolato in uno dei passaggi fondamentali del libro, il boom dell’industria della musica leggera parte dalla Madonnina sotto l’egida di una delle figure di riferimento del fenomeno ossia il grande maestro Gorni Kramer, talento mantovano trapiantato a Milano. E’ lui il primo grande nome di una lunga galleria di personaggi diventati milanesi per adozione o forse meglio “per elezione” per scelta intima legata all’arte come necessità e febbre di vita secondo tutte le possibili accezioni.
C’è del romantico e dell’avveniristico, si respirano in egual misura l’ambizione, la costrizione e su tutto lo sguardo profondo e umile che aleggia e pare sempre trasudare da questa lunga ed elastica rassegna di volti, voci e penne che hanno segnato e in taluni casi continuano a segnare la storia della canzone a Milano.
Tutto questo viene passato al setaccio a partire dalla canzone “di” Milano per un’espansione che coinvolge a macchia d’olio l’altro e l’altrove, il vissuto e il vivente. La nascita “ufficiale” con la Madonina di Giovanni D’Anzi della canzone milanese. Il recupero – con lo storico e formidabile spettacolo-antologia “Milanin Milanon” del 1962 – di una tradizione della canzone milanese allora già centenaria, dalla fase preistorica della quasi-canzone (le businate, i canti popolari, le tiritere) ai primi anni ’60.
E poi la grande connessione tra jazz e storia della canzone italiana alimentata dalle tre figure fondamentali Franco Cerri, Enrico Intra e Bruno De Filippi con lo sfondo dei più prestigiosi locali della Milano dei ’60 e dei ’70, dai vari Santa Tecla, alla Ca’Bianca, al Capolinea fino al celebre Derby protagonista del mai più eguagliato linguaggio di contaminazione reciproca tra cabaret e canzone.
Capita così di avere la compagnia del Cerri prima della grande scelta per il jazz, la prima scoperta di Kramer che lo porta dai cortili al varietà, o di quel Quartetto Cetra, ensemble panitaliano, come formazione di riferimento per la scrittura dello stesso Kramer che svecchia la tradizione della canzone italiana portandola verso lo swing.
Quest’opera è una vera e propria sceneggiatura della canzone che da Milano prende vita e si espande fino a prefigurarne una testimonianza potenzialmente universale. Vi si può trovare una Milano profonda e radicata, una Milano in uscita e persino una Milano in entrata.
Si prenda ad esempio la Milano dei più grandi di sempre. Quella di Enzo Jannacci (e con accenti differenti dei Gufi e di Svampa), ovvero quella dell’uomo “della storia accanto” la cui umile vicenda si rende appello estremo rivolto a tutti. Una milanesità profonda e radicata che dunque diventa una Milano “in uscita”, quella che incontra e condivide pezzi di umanità fino a un coinvolgimento potenzialmente totale.
Ma ci sono differenti sfumature di questa Milano in uscita. Quella della grande (e oggi perlopiù misconosciuta) Milly che da interprete “milanese” d’adozione, apre il suo talento alla mitteleuropa delle contaminazioni tra Brecht e musical precorrendo i tempi di una Milva. Quella di un altro monumento come Gaber che nella sua fase artistica più straordinaria – quella del Teatro Canzone – è il testimone privilegiato e più grande di una Milano del cantautorato che guarda all’universale o più propriamente come anche nel caso di Vecchioni, “con destinazione il cuore di ogni uomo”.
E ancora quella del ribellismo rock visto, ritratto e sezionato sotto angolazioni, accenti e periodi differenti dai Celentano, dai Finardi, fino ai Ruggeri, ai Fortis e ai Bono. O quella della grande ricerca di nuove fusioni e sperimentazioni tra rock, classica, jazz, folk e canzone con altre esperienze imponenti e indimenticabili quali PFM, Area, Claudio Rocchi e Giorgio Gaslini.
E poi la Milano della discografia e quella degli anni di piombo che invadono la scena musicale con il processo al Palalido del “romano” De Gregori, con approdo a quella vorace e gaudente dei grandi concerti degli anni ’80, dove la musica trascende la sua missione per farsi rito collettivo rassicurante e confermativo della nuova ondata di benessere e consumismo che diverranno di lì in avanti prima unità di misura anche nell’universo delle sette note.
E la Milano “in entrata”? E’ senz’altro quella delle grandi canzoni – note e meno note – sulla città il cui vertice insuperato è rappresentato ancor oggi dalla Milano di Dalla. Ma anche quella dei cosiddetti grandi trapiantati – della prima o della seconda ora – per le più svariate ragioni o vicissitudini, da Endrigo a Lauzi, da Ciampi a Battiato, a un dimenticato cantautore d’hinterland come Filipponio (viveva in una delle principali zone di case popolari sestesi), ai trionfi meneghini di un grande quasi-milanese come Branduardi, senza dimenticare la recente e talentuosa vicenda artistica di una voce ispirata di un’acquisita come Andrea Mirò.
Forse ciò che in definitiva sintetizza al meglio la portata e l’ambito di quest’opera lo si può ritrovare nella logica ferrea e scarna delle parole del Fossati della sua Milano, dove la stessa nel suo essere città di frontiera è al contempo la sua gloria e la sua totale contraddizione, da sempre ago della bilancia ma con il tempo sempre meno consapevole della sua grande origine.
Insomma c’è tanto e molto di più che non è possibile esaurire in queste righe, ma che conviene andare a scoprire divorando o, forse meglio, centellinando pagine che grondano letteralmente di amore spudorato e passione autentica per la musica e la canzone come la più grande e fisicamente indispensabile delle avventure. Dei tanti libri rilasciati in altrettanti anni sulla musica italiana (o comunque di una sua parte rilevante) e sulle sue profonde implicazioni, quest’opera è davvero essenziale per rivivere e comprendere cuore, cervello e muscoli di un’esperienza straordinaria.
Il libro verrà presentato dall’autore la sera di Lunedì 23 novembre ore 21 presso il Teatro Litta di Milano.