Spenti i riflettori su Expo, finiti i fuochi di artificio e i giochi di luce dell’albero della vita, Milano si sveglia in giorni e mattine normali, col sole e la nebbia, con le strade pulite e le persone che vanno d fretta a lavorare. La vita prosegue, incalzante, e negli occhi e nel cuore della città, pieni di questa esperienza straordinaria, traspare ancora il sorriso appena accennato nel leggere i guai di Roma o nel constatare la violenta reazione di Napoli verso chi ha la colpa di averla definita “in alcuni punti piena di spazzatura”. 



Ma si sa, le elezioni si avvicinano, e anche noi dobbiamo scrivere di Giuseppe Sala, il capitano della squadra di Expo, il manager che è arrivato, ha tacitato litigi e divisioni della politica, e con un atteggiamento da “ghe pensi mi” molto meneghino, si è messo al timone, ha attraversato tempeste e battaglie, ha portato il vascello in porto. Normale che ora il Partito democratico, intorno a cui, volenti o nolenti, girano le vicende politiche milanesi, guardi con un misto di desiderio e apprensione al capitano di Expo. Cosa farà? È dei nostri o no?



Segretario metropolitano e segretario regionale, due giovani valenti si sono presentati nella sede di via Rovello, melliflui come il gatto e la volpe, con la “carta dei valori” del centro sinistra in una mano e la corona nell’altra, pronti a ingaggiare il centravanti goleador per la loro squadra. Giornalisti avvisati, sondaggi pubblicati, il banchetto era apparecchiato. Ma Sala non sembra aver voglia di mangiare nel piatto degli altri: uno che ha apparecchiato una tavola planetaria oggi non si accontenta della minestrina del Pd. “Se avete un vostro candidato, fate pure. Se devo correre io, almeno decido io a quale gioco giocare”. Questo il senso della risposta: e tanti saluti ai comitati, alle primarie e a tutto il baraccone.



Del resto da tempo si era capito che attorno a Sala si giocano i destini delle elezioni di Milano, e sono in corso le manovre di accerchiamento. La sinistra manda avanti Majorino, ma aspetta da Pisapia una direzione: il sindaco è in grande imbarazzo. Ha avversato Expo prima di essere eletto, l’ha ignorato al tempo della burrasca, salvo poi unirsi (malvolentieri) alla folla che reagisce ai black bloc il 1° maggio, e concludere passeggiando sorridente sul decumano. Il problema di Pisapia è nella continuità con la sua esperienza e, quindi, nel riconoscimento del suo ruolo. Questo riconoscimento però gli è negato dalla componente più movimentista della sua coalizione. Convocati in Sala Alessi, i comitati di protesta dei cittadini di Milano che hanno animato la Milano arancione hanno sconfessato il sindaco e la giunta, che, di fronte alle scelte di governo, non ha assecondato le aspettative degli antagonisti. 

Pisapia si aggrappa così alle primarie, la cui “carta dei valori” si apre con un riconoscimento esplicito del lavoro della sua giunta e con un impegno a continuare nel perimetro della stessa coalizione. Le primarie sono così l’ultimo baluardo del sindaco: chiunque venga dopo di me non può che partire in continuità con la mia esperienza politica e quindi, con i miei manager, le mie scelte amministrative (piazza Castello pedonale, la Sea pubblica, il registro delle coppie omosessuali, ecc.), le mie alleanze.

Il Pd milanese dall’altra parte ha molti uomini che questo successo hanno costruito, ma gli manca un cavallo di razza che possa convincere i milanesi. Non lo sono certo i vari candidati che si sono presentati o sono stati lanciati in questi mesi (“i sette nani”, li avrebbe definiti Renzi) nella mente dei dirigenti meneghini; questo ruolo dovrebbe interpretarlo Giuseppe Sala. 

Ma il commissario di Expo potrebbe non averne nessuna intenzione: non ha certo un pensiero in linea con quello del sindaco, anzi di certo non ha gradito il suo atteggiamento ondivago e distaccato verso il suo lavoro nei momenti difficili. Ha idee e rapporti suoi, capacità manageriale, e poca voglia di compromessi al ribasso o di farsi dettare da altri l’agenda. Sarebbe forse un buon sindaco, ma certo non espressione della coalizione civica, di sinistra e movimentista che sostiene quest’amministrazione. Sala potrebbe più facilmente svolgere un ruolo nuovo, meno ideologico e più improntato al fare, più trasversale e coraggioso che mediatore e radicato in una tradizione che gli sta stretta.

È chiaro che se Sala verrà ridotto ad icona di un’operazione di continuità con Pisapia, il centrodestra potrà sperare di proporre un’alternativa credibile, da Del Debbio a Lupi a Passera: un’alternativa di governo, di idee, di rinnovamento. Di fronte ad un Sala interprete (o sperimentatore) di una forma politica più larga, che guarda al partito della nazione sulla scorta dell’esperienza del governo Renzi, gli spazi per una alternativa che non sia “antisistema” (Salvini, Grillo o La Russa) sono molto stretti. Ci sarebbero facce nuove, giovani da far crescere, qualcosa per il futuro remoto, non certo lo spazio politico per il governo della città dal 2016.