Alla fine la maggioranza di Palazzo Marino, a meno di sei mesi dalle prossime elezioni amministrative, ha mancato l’appuntamento per la riqualificazione di 1,2 milioni di mq di aree. Si tratta degli ex scali delle Ferrovie dello Stato. L’Accordo di programma siglato il 18 novembre da Comune, Regione e azienda statale è scaduto a mezzanotte del 18 dicembre scorso, dopo una maratona in Consiglio comunale durata oltre 30 ore. Anche se sarebbe sbagliato ridurre il tutto ad un mero problema di “tempistica”, è interessante capire il merito di un’intesa che avrebbe rappresentato il vero ed unico lascito dell’amministrazione Pisapia a Milano. 



La delibera di ratifica dell’accordo è giunta in “zona cesarini” dopo cinque anni di lavoro, innanzitutto da parte dell’ex vicesindaco e assessore all’urbanistica, Ada Lucia De Cesaris, benché l’intuizione fosse della precedente amministrazione e, in particolare, di Carlo Masseroli. La differenza è che la riqualificazione di quelle aree nasceva all’interno di una visione complessiva della città fotografata dal Piano di governo del territorio. L’accordo del 2015 è parziale e slegato da qualunque discorso globale sulle aree disponibili, tema che nella sua generalità oggi dovrebbe comprendere quello sul futuro delle aree che hanno ospitato Expo e la riqualificazione di ex fabbriche ed edifici abbandonati privati. Senza considerare che l’eventuale spostamento di Città Studi sui terreni dove fino a pochi mesi fa sorgevano i padiglioni dell’esposizione universale implica affrontare ipotesi risolutive per Lambrate, zona che attualmente ospita le sedi delle facoltà scientifiche dell’Università Statale. A ciò si aggiunga la mancata spinta ad un progetto ambizioso sull’ex area industriale di via Stephenson che, nell’intuizione di Masseroli, avrebbe visto l’accorpamento in un’unica sede di tutti gli assessorati e uffici centrali del Comune — similmente a quanto già realizzato da Regione Lombardia che, con il nuovo Palazzo, fa risparmiare ai contribuenti 5 milioni all’anno di affitto delle precedenti sedi distaccate. Qualche giornale ha contato così in 3 milioni di mq abbandonati il vero lascito alla città dell’esperienza di governo di Giuliano Pisapia.



L’obiettivo originale dell’accordo sugli scali ferroviari prevedeva la riqualificazione delle aree da parte di Ferrovie dello Stato e il conseguente investimento delle plusvalenze generate nel potenziamento del sistema ferroviario, integrandolo al trasporto pubblico urbano. L’intesa siglata il 18 novembre dal nuovo assessore all’urbanistica, Alessandro Balducci, prevedeva una riduzione del 30% degli indici di edificabilità rispetto a quanto prospettato in passato, tale però da sacrificare la gestione di qualunque progetto di integrazione del sistema di mobilità alternativa al mezzo privato. 



In sostanza: il mix funzionale di alloggi privati, altri in affitto calmierato, housing sociale, verde e servizi terziari non sarebbe stato tale da sostenere anche la realizzazione della Circle line sfruttando le rotaie già esistenti. In nome di una visione ideologica, che si nasconde dietro lo slogan di un vago quanto etereo “interesse pubblico”, si riducono le volumetrie — con conseguente diminuzione degli oneri di urbanizzazione a servizio della città — e si finisce per fare solo gli interessi dell’azienda Fs. Per quanto ancora pubblica. Sebbene per poco. 

E qui sta il punto: l’accordo di programma promosso dalla giunta Pisapia permetteva esclusivamente a Ferrovie dello Stato di valorizzare le proprie aree sul territorio del Comune di Milano, con conseguente boccata d’ossigeno per i suoi bilanci prima della quotazione in borsa, ma senza prevedere uno scambio equo con l’amministrazione. Infatti qualche aggiustamento di stazioni esistenti e un sottopasso non equivalgono certamente ad una metropolitana esterna di 27 km, 15 fermate (di cui 6 nuove, come Dergano, Istria, Forlanini, Zama, Tibaldi e Canottieri) e che in 30 minuti avrebbe potuto collegare il nord ovest con il sud ovest della città, passando intorno al centro e dopo aver incrociato tutte e cinque le altre linee. 

Da qui la bocciatura della delibera di ratifica dell’intesa da parte del Consiglio comunale il 9 dicembre. Sfruttando l’assenza di tre consiglieri del Pd, altri cinque di maggioranza affossano il provvedimento insieme a quelli d’opposizione. Già il 3 dicembre era mancato il numero legale. Un segnale che avrebbe dovuto preoccupare il sindaco e indurlo a ricercare una soluzione politica. La verità è che da quando Pisapia ha annunciato di non ricandidarsi ha aperto di fatto quattordici mesi di campagna elettorale, lasciando la maggioranza senza una linea né una guida e la città senza governo. Nonostante chi scrive abbia avanzato la proposta di mediazione di una nuova delibera di iniziativa consiliare che impegnasse a recuperare il progetto di Circle line attraverso l’introduzione di varianti all’accordo già siglato, lo sfregio di una delibera fotocopia a quella già bocciata imposta nuovamente ai consiglieri da parte del sindaco, e ad una sola settimana di distanza dal primo voto, ha incontrato il muro dei gruppi di opposizione. La corsa alle primarie del centrosinistra e la prossima campagna elettorale per le comunali del 2016 hanno fatto il resto.