Il 29 dicembre cade il novantesimo anniversario della morte di Anna Kuliscioff, la compagna di Filippo Turati, la bella russa che abitava a Milano in un casa sotto i portici di piazza Duomo. Anna Kuliscioff è un simbolo del “riformismo socialista italiano” — anche se sia lei che Turati ci tenevano a far parte del Partito socialista, sezione milanese — e su Milano ha lasciato un’impronta che è per alcuni indimenticabile. Ma visti i tempi che corrono, il 29 al cimitero monumentale ci saranno pochi “marziani” a ricordarla, davanti alla tomba del “grande sasso” dove è sepolta insieme a Turati e alla madre di lui.
Giunte riformiste a Palazzo Marino non se ne vedono più. C’è stato un quinquennio, abbastanza insignificante, di un sindaco di Sel alla guida di una coalizione di sinistra che, a parole, si dice tutta riformista. E intanto ci sono i preparativi per il nuovo sindaco “riformista”, che dovrebbe uscire dalle primarie del Pd nella prima decade di febbraio.
Qui arriva il paradosso, la grande ironia della storia per Milano. I tre candidati sembrano l’espressione migliore della confusione politica italiana. Ai “nastri” delle primarie c’è l’attuale vicesindaco, Francesca Balzani; poi dovrebbe esserci Pierfrancesco Majorino (sinistra Pd), attuale assessore alle Politiche sociali. Ma soprattutto dovrebbe esserci il “nuovo principe riformista”, Giuseppe Sala, l’amministratore delegato di Expo, l’uomo-salvezza di Expo, il guru dell’Esposizione universale, che con la tradizione riformista milanese c’entra come i cavoli a merenda.
Giuseppe Sala ha presentato proprio in questi giorni il bilancio dell’Expo, suscitando qualche perplessità e qualche critica. Corrado Passera, ad esempio, ha dichiarato: “Numeri incompleti e poco trasparenti”. Ma anche Basilio Rizzo non è stato troppo tenero: “Se sarà sindaco, spero che dia informazioni meno criptiche”.
In effetti qualche cosa di criptico, nella carriera politica di Beppe Sala, indubbiamente c’è. Qualcuno che faceva parte della giunta comunale di Letizia Moratti se lo ricorda come il vero “numero 2” di Palazzo Marino: “Nominalmente il vicesindaco era Riccardo De Corato, ma bastava che arrivasse in ritardo di qualche minuto e la riunione di giunta cominciava sotto la regia del city-manager dell’epoca, cioè Beppe Sala, che di fatto era l’autentico vicesindaco”.
Beh, si potrebbe dire che ormai la distinzione tra destra e sinistra sia un optional. L’abbiamo detto che sono tempi di confusione. Ma non si comprende però questa voglia di Sala, grande regista di Expo, nel rivendicare la sua appartenenza o identità di sinistra. Appena può, Beppe Sala dice che è di sinistra, che ha votato per il Pd. Anzi, nel 2011, dopo aver fatto il city-manager nella giunta Moratti, andava a votare per Pisapia e la sinistra.
Deve essere un caso di “modernità” politica quella di Sala. Ma potrebbe anche essere un caso di ubiquità inquietante. Giuseppe Sala deve essere stato un bravo manager nella “Real Estate” pirelliana con Marco Tronchetti Provera. Ma il suo vero scopritore sembra che sia stato Bruno Ermolli, un personaggio che faceva di tutto, entrava in mille questioni e incarichi, ed era dato come “uno degli uomini più ascoltati da Silvio Berlusconi, con appuntamento fisso il lunedì ad Arcore”.
Le voci più informate dicono appunto che il manager Sala viene proprio lanciato da Ermolli, che lo apprezza, lo stima e lo consiglia come grande manager.
Per carità, si può cambiare opinione nella vita, tante volte, e si possono onorare diverse cause. Ma indubbiamente il “fiuto” di Beppe Sala è notevole per quelli che vogliono contare qualche cosa, indipendentemente da una certa coerenza ideale. Da Tronchetti Provera a Ermolli, alla Moratti, Sala passa attraverso l’esperienza dell’Expo, diventa in un colpo consigliere d’amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti e contemporaneamente candidato-sindaco di Matteo Renzi, il grande rottamatore, l’uomo più veloce del secolo, che dovrebbe garantire il cuore della sinistra italiana, naturalmente sedicente “riformista”.
C’è qualche lingua maliziosa che spiega: “Il 1° maggio, quando fu inaugurata l’Expo, Sala si sentiva già sindaco. Lo si vedeva dagli occhi luccicanti. Tutto quello che è arrivato dopo sembra quasi una sceneggiata ben congegnata”.
Difficile dare credito a tutte queste voci. Un fatto è certo: Sala con la tradizione di sinistra c’entra poco e al massimo può essere un convertito di recente nomina. E’ forse anche per questa ragione che Giuliano Pisapia, oltre agli “schiaffi” metaforici subiti da Renzi, ha scaraventato tra le ruote della “macchina di Sala” il nome di Francesca Balzani e il passaggio delle primarie.
Chi analizza le cose interne del Pd, al momento sostiene che “Nelle primarie del Pd, c’è sempre un voto in controtendenza, contro l’indicazione del partito. In questo caso si potrebbe aggiungere una considerazione: se alle primarie vanno i militanti, solo i militanti, cinquantamila persone per fare un esempio, Sala perde. Se alle urne delle primarie ne arrivano invece settantamila, Sala può vincere”.
E c’è qualcun altro che, in questa storia del “nuovo riformismo” milanese, azzarda un’ulteriore ipotesi: “Se Sala perdesse alle primarie, potrebbe pensare anche a una sua lista. In fondo è un uomo per tutte le stagioni, come si può vedere dalla sua vita politica, da manager. Andrebbe bene anche a destra. Probabilmente anche a Berlusconi”.