L’altro giorno stavo già preparando la scaletta per l’articolo settimanale del Sussidiario. È possibile cercare di capire i movimenti del mercato del lavoro post jobs act per valutare positività e negatività. Certo, sono aumentati gli occupati complessivi, alcune centinaia di migliaia di persone hanno un nuovo lavoro. Ancora di più sono i lavoratori che sono passati, o stanno per passare data la scadenza del 31 dicembre, da contratti senza tutele a contratti che prosciugano molta della precarietà contrattuale. Restano però due grandi questioni aperte se guardiamo al Mezzogiorno che ha ancora più bisogno di lavoro di prima e al dato degli inattivi che è in crescita. Cioè, sempre più persone si ritirano dal mercato del lavoro smettendo di cercare una nuova occupazione. C’è materia per tornare a ragionare nelle prossime settimane sulle scelte di politica economica a sostegno del lavoro e, soprattutto, per osservare i primi passi dei nuovi servizi per l’occupazione che dovranno essere definiti a livello nazionale.



Stabilita la scaletta sono andato a cena con due cari amici. Cena ai Navigli al Lungo la notte, ristorante di ottima carne dell’amico Hassan. Hassan è egiziano, da trenta anni a Milano. Ha percorso tutti i passaggi lavorativi della ristorazione fino a gestire un proprio ristorante dove coniuga sapienza mediterranea in una cucina di carne tanto semplice quanto gustosa. Secondo quanto stabilito dal Vescovo Ariberto ormai quasi 1000 anni fa, “milanese è chi vive e lavora a Milano”: Hassan è un vero milanese. Tanto milanese da superare molti dei nostri ristoratori, perché ad accogliere i clienti all’entrata del ristorante vi è un piccolo e grazioso presepe che ricorda a tutti il periodo natalizio che stiamo vivendo.



Come io però so bene, avendo avuto con lui più serate di racconto sulle nostre esperienze di vita, Hassan è un bravo musulmano. Proprio dal ragionare sui problemi di convivenza nel Mediterraneo e sui problemi politici del suo Paese è cresciuta un’amicizia e un confronto sulle esperienze che siamo in grado di valutare e per uno sguardo comune su cosa serve per mettere pace in zone dove la guerra travolge l’umano.

Il presepe non è stato fatto per arruffianarsi i clienti. Mi racconta che già quando i suoi figli andavano alle elementari gli piaceva partecipare alle iniziative natalizie ed era la partecipazione alla preparazione del presepe quello che li animava di più. Non solo non si sentiva offeso nella sua fede religiosa, ma ritrovava in una tradizione diversa il comune sentimento di accoglienza e festa per la natività. E partecipare alla nostra più importante festa religiosa, magari con preghiere diverse, mi dice essere una cosa che piace da anni.



Ma allora perché alcuni responsabili di luoghi civili del nostro Paese si pongono il dubbio se tenere a mente le ragioni per cui Natale è una festa che ricorda le nostre radici religiose e culturali dovrebbe suonare offensivo per chi ha una fede diversa? L’esempio che ho visto dall’amico Hassan è la risposta migliore a un laicismo esasperato che non ha più il coraggio di fare le antiche battaglie antireligiose e nasconde la propria debolezza dietro al finto rispetto per le diverse fedi e culture.

È dal riconoscere il cuore comune che abbiamo e dal capire le tradizioni degli altri, anche vivendole, che scopriamo ancora di più il valore delle nostre radici e capiamo quante ce ne sono di comuni tra i popoli che sono cresciuti e si sono intrecciati nel bacino mediterraneo.

Chi vuole inventare luoghi e momenti anonimi dove incontrarsi senza valori perché così non si offendono le tradizioni di nessuno porta al vuoto entro cui crescono integralismi e totalitarismi. Un presepe offerto da un musulmano significa un’apertura alla vita più di tante chiacchiere di laici decadenti.