Il tradizionale discorso alla città che il cardinale Scola ha pronunciato nella basilica di Sant’Ambrogio in occasione della solennità del patrono di Milano si situa quest’anno tra gli episodi gravi del terrorismo islamico e l’apertura dell’Anno santo. “Misericordia e giustizia nell’edificazione della società plurale”, questo il tema svolto dall’arcivescovo davanti alle autorità e ai cittadini, ai quali si è offerta la possibilità di una riflessione e di un richiamo al compito loro affidato.
Il cardinale Scola in più punti si è rivolto alla singola persona, indicando il dovere di contribuire a una vita più buona, senza scaricare su altri la propria responsabilità, ma propone anche considerazioni di carattere sociale e giuridico non certo scontate e perciò da esaminare con attenzione.
La giustizia di cui l’arcivescovo parla non è solo il “suum cuique tribuere”, formula della quale già gli antichi sapevano i limiti, condensati nell’adagio “summum ius, summa iniuria”. La giustizia umana in quanto tale richiede un passo ulteriore, affinché il bisogno e il desiderio di una vita buona possano affermarsi positivamente. Nella società postmoderna ci si concentra sempre più sui diritti, che diventano facilmente pretese; di fronte a diritti opposti, che generano conflitti, il ruolo della politica è quello di cercare un compromesso, nel senso più nobile del termine. Ma tale azione non è sufficiente, se non si introduce nella relazione tra persone e gruppi contrapposti il dono di un primo passo con cui riaprire la possibilità dell’intesa. Il dono, osserva il cardinale Scola, esige anch’esso una risposta, ma essa non può essere mai la meccanica applicazione di uno scambio, perché è frutto della libertà umana.
Il dono è l’atto che più imita Dio. Il Creatore non confonde il bene e il male, non fa come se niente fosse accaduto, non passa oltre, ma prende sul serio la libertà della creatura, giudica le sue decisioni e offre la sua misericordia per sollevare chi è caduto e per ridargli vigore.
Dio è giudice mentre è salvatore.
Senza giudizio non c’è redenzione.
Sono queste le due frasi, brevi ed efficaci, di cui l’arcivescovo si serve per entrare nella freschezza del Vangelo, nella profondità insondabile e dolce della persona di Cristo, della sua morte che ci ha meritato la salvezza e il perdono. L’acuta riflessione sui fatti umani si apre sull’abisso della misericordia di un Dio fatto carne, che perdona la prostituta e l’adultera, il pubblicano e il figliol prodigo fino al ladrone sulla croce. E’ stata, la parte centrale della parola del cardinale, una ripresa in sintesi della sua recente lettera pastorale “Educarsi al pensiero di Cristo”.
Particolare rilievo la nota sul perdono in famiglia, il primo ambito di educazione a quella gratuità di relazioni che consente di chiedere scusa quando si è sbagliato e di ricevere il perdono che riapre a un’intesa più vera.
Infine, quasi a esemplificare le due opere di misericordia, visitare i carcerati e ospitare i pellegrini, lo sguardo del cardinale si volge a due mondi molto presenti sul territorio della diocesi di Milano, le carceri e i rifugiati. Le sue annotazioni rivelano una conoscenza realistica della complessità in cui si è chiamati ad operare, ma non smentiscono affatto l’appello a contribuire, come ognuno può, a rendere la vita più buona anche per chi ha sbagliato o è stato costretto a lasciare la sua terra, cercando altrove rifugio.