A Milano, periodicamente, “ci vuole un progetto”, anzi “manca un progetto”. Non importa che qualche foglio cittadino titoli così: se per lamentare che le strade del centro sono sporche la domenica mattina o le periferie poco sicure di sera in settimana. Oppure per gufare in anticipo sull’Expo, per ridare vigore a qualche “narrazione” giudiziaria, per rilanciare un centrosinistra nevrotico o un centrodestra senza leader, per giustificare ovvero denunciare qualche operazione finanziaria come ad esempio in questi giorni l’Opa Pirelli. Avviene comunque – classicamente – quando bisogna eleggere il sindaco: e sarà appunto il caso dei prossimi mesi dopo le “dimissioni virtuali” di Giuliano Pisapia. 



Scontati gli appelli alla “società civile”, restano le questioni reali: chi guiderà Palazzo Marino è importante, ma non la cosa più importante. Lo è evidentemente in termini simbolici: a tutti era e rimane chiaro cos’è stata Milano sotto i sindaci Tognoli o Pillitteri, oppure durante le amministrazioni Albertini e Moratti. Cosa sia stata, cioè cosa sia nel marzo 2015 la Milano di Pisapia (opinione personale di chi scrive) resta difficile da qualificare: tanto più che un sindaco che si pre-dimette un anno prima, a cinque settimane dall’inizio dell’Expo, sembra ammettere che la maggioranza dell’elettorato milanese che l’ha eletto non c’è più e che neppure lui vuol passare agli annali come “il sindaco dell’Expo 2015”.



Dunque, “manca, ci vuole un progetto”: oltre l’Expo. Anzi: comunque andrà l’Expo, a prescindere dall’Expo. Infine, alla prova dei fatti, a prescindere anche dai “progetti”, che non sono mai stati nel DNA della città. Lo sono – oggettivamente – nel codice genetico di Roma, che ha sempre bisogno di una “legge per la capitale”, di un Giubileo, di una candidatura all’Olimpiade. 

Di un’unica riforma Milano avrebbe forse bisogno: diventare Area metropolitana, forse unica città italiana a poter trasformare una dimensione “microregionale” in una leva strategica. Anzitutto perché una Milano Metropolitana sarebbe talmente grande da  vanificare ogni cultura municipale velleitaria  in chiave centralista e neo-statalista (è la cultura  dell’ex sindaco Renzi e del candidato sindaco Salvini).



Certo che Malpensa ha bisogno di un “progetto nuovo”: va privatizzata, gli investitori finanziari e industriali non mancano. Certo che la sanità milanese ha ancora margini di competitività a livello globale: non va frenata da contro-riforme che tradirebbero completamente il ruolo di cambiamento che vi ha investito la Regione. Certo che il bilancio del Comune va “riprogettato” in chiave sussidiaria: non con autovelox e cartelle pazze. Certo che la Popolare cittadina va spoliticizzata e che la riforma va sfruttata come opportunità di riscoprire una grande banca, a fianco di Intesa e UniCredit. Certo che la Fondazione Cariplo va difesa e piacerebbe che ad attaccarla non fossero per primi i professori della Bocconi: bastano già i consigliori londinesi del premier fiorentino. 

Certo che se fra Mediaset, Mondadori e Rcs – principale industrie culturali del Paese, altro che la Rai – può maturare qualcosa che ridia forza a una tradizionale imprenditoria cittadina, forse è bene far sbollire definitivamente certi vecchi livori giudiziari. Certo che tutti, in città, si augurano che il Csm scelga un nuovo procuratore capo all’altezza della città in questo momento. 

No, un progetto a Milano non basta mai. Ce ne vogliono tanti.