Essendo passato qualche giorno dalle dichiarazioni scandalose di Salvini “manderemo le ruspe a spianare i campi nomadi”, posso entrare nel merito senza cavalcare lo scontro politico.
Le popolazioni di origine Rom e Sinti hanno identità comunitaria particolare, desiderano vivere insieme come famiglie nel senso più allargato del termine. Dall’anziano capo famiglia sino ai nipoti e pronipoti. Si vedono così agglomerati di dimensione media di 40 persone. In queste avviene l’aiuto reciproco, la festa, l’educazione. Particolarmente legati all’idea di villaggio, tengono molto a quello spazio comune che noi chiameremmo cortile, che è il luogo della festa e delle danze. Le donne si presentano con vestiti molto colorati e le danze sono belle da vedere.
Ma esiste il risvolto negativo: se non educati alla socialità, manifestano spesso forme di vita che sono asociali. Gli insediamenti, se non sono regolari, diventano campi nomadi abusivi, e da questo viene spesso che la compagnia che si forma non è la famiglia allargata ma il dominio malavitoso di alcuni più forti che si impongono sugli altri. Gli uomini sulle donne, gli adulti sui bambini, eccetera.
Poi la cosa si perpetua, scompare il nomadismo, e diventa una asocialità sopportata dalle istituzioni, che non esercitano neppure quello che si riesce a fare nei campi regolari. Infatti i comuni che hanno campi regolari hanno anche funzionari che contrattano con gli abitanti dei campi i programmi di regolarizzazione per il lavoro e per la scuola dei figli. Nelle situazioni meglio gestite si arriva al capofamiglia che si fa garante del rispetto delle leggi da parte dei suoi. E presenta la dimostrazione delle situazioni di sostentamento dei residenti.
I campi nomadi regolari sono il frutto di un’azione portata avanti dalla fine degli anni 50 dall’Opera Nomadi, associazione promossa da diversi membri del Pci e cattolici, che nel tempo ha teorizzato la necessità di salvaguardare l’identità culturale di Rom e Sinti. A tal fine ha generato la formazione dei mediatori sociali, educando giovani dei campi e stipendiandoli per le loro funzioni, che essi svolgono anche nelle scuole dove ci sono bambini di queste etnie. Nel complesso i comuni delle grandi città italiane hanno affrontato notevoli costi per queste politiche.
Dopo sessant’anni di queste azioni il quadro che si presenta è comunque molto critico, e la stessa Opera Nomadi si è demotivata. Qui sta la differenza fra il nostro paese e il resto dell’Europa. In Europa non si sono fatte le teorie sulla salvaguardia culturale, ma si sono permessi insediamenti congiunti nelle abitazioni, e in tal modo la famiglia allargata ha potuto sopravvivere ma senza il degrado dei campi sempre formati da abitazioni fatiscenti.
Si trattava di superare la cultura del piccolo villaggio per introdurre la vita di quartiere. Ma l’intellettualismo dei nostri buonisti italiani non ha saputo raggiungere questo risultato.
I campi nomadi regolari giustificano gli insediamenti irregolari, perché comunque diventano campi, e tendono a corrispondere al modello astratto. Per questo è giusto dire basta ai campi nomadi.
Ma Salvini è violento, la sua dichiarazione: sei mesi perché trovino casa e poi li spianiamo, è irrealizzabile, i nomadi non trovano casa se non si prevedono soluzioni di quartiere agibile. E se non trovano casa cosa vuol dire: “andiamo con le ruspe e li spianiamo”? E’ come incitare al genocidio. Gli esseri umani non sono eliminabili, anche se sono contraddizione.
Certo non si può e non si deve accettare la vita illegale degli zingari, che va dalla ricerca di elemosina alle azioni sistematiche di furti e rapine. Io stesso, quando ero presidente della commissione Servizi sociali del Consiglio Comunale di Milano, ebbi modo di fare un sopralluogo nel campo abusivo di Via Triboniano, 600 presenti, fango e baracche di cartone e lamiera, malavitosi abitudinari. Ma vidi anche tre donne uscire dal fango con splendidi vesti colorate e andare a prendere i figli arrivati con l’autobus del Comune che li portava dalla scuola.
Personalmente mi sono molto impegnato per superare il sistema dei campi nomadi, ma la destra non capiva e la sinistra teorizzava. Poi con Pisapia le cose sono tornate al punto di prima. Allora ci vuole davvero un programma politico che preveda la chiusura dei campi nomadi, gestendo il processo in modo da tenere insieme diritti umani e doveri di legalità e di impegno all’integrazione sociale.
Ma questo è proprio ciò che manca alla politica in Italia, non l’essere di destra o di sinistra, ma avere un approccio diretto alla soluzione dei problemi. In tante, troppe questioni abbiamo gestioni dei problemi che sono disastrose, alimentate da contrapposizioni di parte e nascondimenti corrotti. Forse è ora di cominciare a mettere insieme gli uomini di buona volontà.