Con la delibera di affidamento degli alloggi popolari di proprietà del Comune di Milano a MM Spa, siamo certamente di fronte ad un passaggio molto importante nella politica abitativa della città. Si tratta della scelta di affidare 28mila case ad un’azienda partecipata altrettanto importante. Una scelta legittima, ma che di fatto segna solamente un passaggio da un gestore pubblico ad un altro gestore pubblico. Non siamo di fronte, cioè, ad una riforma di sistema. Non si indicano nel provvedimento soluzioni concrete a quelli che sono i problemi atavici che hanno reso ancora più gravi certe emergenze e certe situazioni nei quartieri e nelle case popolari. E non si capisce la ragione per cui il mero cambio di gestore dovrebbe cambiare e migliorare le cose. L’affermazione, che pure si sente dire nelle discussioni d’aula, per cui la ragione sarebbe da individuare nel fatto che lo fa la Giunta guidata da una persone per bene come Pisapia, non appare sufficiente, né adeguata.
Questa è un’operazione politica — se vogliamo con la “P” maiuscola, non per forza in senso denigratorio, come purtroppo ormai questa espressione ha assunto nel linguaggio comune. È una operazione politica perché si è deciso scientemente di non occuparsi fino ad ora di Aler e di case popolari. Lo ha detto in un’intervista del 27 dicembre 2013 Luca Beltrami Gadola, rappresentante della Giunta del Comune di Milano nel Cda di Aler: «ho capito che gli amministratori comunali, di Aler, ne sapevano pochissimo. Ma soprattutto ho capito che non sembrava essere di grande interesse per loro tutto quello che non riguardava le infiltrazioni mafiose. Io chiedevo sempre nelle riunioni: quand’è che possiamo parlare dell’azienda? Quand’è che possiamo parlare del fatto che di questo passo l’Aler chiuderà? Dicevo: di questo passo venderemo la penultima casa per mantenere l’ultima. Abbiamo chiesto di essere ascoltati dalla commissione casa del Comune. Non ci è mai stata data risposta» (da Affaritaliani.it).
Insomma, a fronte di un disinteresse durato quattro anni, c’è un rinnovato interesse a quattordici mesi dalle prossime elezioni amministrative: è del tutto evidente che l’attuale maggioranza non più guidata da Giuliano Pisapia avrà intenzione di spendere questo tema in campagna elettorale. Legittimamente, s’intende, però bisogna anche dirsi le cose come stanno nella discussione che si vuole condurre nelle istituzioni e con la città. È una scommessa politico-elettorale che si vuole giocare. E di questo si tratta. Una scommessa, tuttavia, che rischia di essere giocata sulla pelle di altri cittadini. Il passaggio di 28mila case di proprietà del Comune, infatti, mostra anche un sostanziale disinteresse per gli altri 60mila alloggi presenti a Milano e gestiti ancora da Aler. Quanti vivono quella situazione che descriveva anche Beltrami Gadola nel 2013, continueranno a viverla. È chiaro che, se crolla definitivamente Aler perché insostenibile economicamente, come in parte qualche settore della maggioranza di Palazzo Marino si augura al fine di dimostrare ulteriormente che chi ha amministrato in precedenza ha fallito, ci sarà una grave emergenza che tutti noi dovremmo gestire, di cui la città dovrà farsi carico.
Per quel che riguarda il merito della delibera in discussione occorre fare una premessa. La soluzione ideale che proporrei per affrontare oggi l’emergenza abitativa sarebbe quella di finanziare la domanda di casa, agganciando a questo anche una serie di altri strumenti che ti permettono di accedere a servizi di welfare per rispondere altresì all’esigenza momentanea di lavoro, assistenza e sostegno alle relazioni familiari. Negli Stati Uniti esiste il voucher housing to work, non la casa di proprietà del pubblico e le liste d’attesa gestite dalla politica. Esiste però un mondo reale, fatto di quasi 90mila alloggi di edilizia residenziale pubblica nella nostra città. C’è una situazione e un mercato immobiliare pesantemente segnato da questi anni di crisi economica, per cui non si può pensare di vendere dall’oggi al domani un simile patrimonio per finanziare la domanda di casa.
Occorre, quindi, essere guidati da un principio di realismo. Da questo punto di vista non è di per sé un male la scelta di passare ad una convenzione con MM per gestire le 28mila case del Comune. Ciò che si evidenzia è che le ragioni di finanza pubblica, segnata da una sempre maggiore scarsità di risorse, impongono il ripensamento della gestione interamente pubblica degli immobili Erp, ipotizzando una separazione di quelle che sono le funzioni di property (proprietà, lavori e manutenzione straordinaria del patrimonio) da quelle di facility (rapporto con l’utenza e servizi di custodia, portierato, gestione del verde, manutenzione ordinaria, ecc.). Non si dimentichi che MM, nella fattispecie, è un’azienda di ingegneri nata per lavorare sulla rete infrastrutturale. Non ha il know how per occuparsi di politiche sociali. Una impostazione di fond, come quella suggerita fra gli altri dal consigliere di maggioranza Marco Cappato, avrebbe permesso di affrontare più puntualmente quelli che sono attualmente i veri problemi delle case popolari, fondamentalmente riconducibili a tre: gli alloggi sfitti, la morosità incolpevole e le occupazioni abusive. A Milano il Comune passa in dote ad MM 3.075 alloggi sfitti, perché non sono più in condizioni abitabili, per una oggettiva impossibilità del pubblico a garantire la ristrutturazione e la messa a norma. Se si contano anche quelli ancora gestiti da Aler si sale a circa 9mila. Ed il rischio è che aumentino nel tempo, perché aumentano le difficoltà finanziare degli enti locali per la gestione dell’edilizia residenziale pubblica. E siccome gli immobili a disposizione diminuiscono, il combinato disposto con una crisi che morde, per cui ci sono sempre più persone che perdono improvvisamente il lavoro e non sono in grado di pagare l’affitto, si creano sempre più situazioni di disagio e — al netto di quelle dell’immobiliare rossa dei centri sociali, che hanno carattere ideologico — aumentano le occupazioni abusive e cresce il numero di chi si fa “giustizia da sé”.
Allora, con alcuni emendamenti ho avanzato l’ipotesi di affidare a soggetti privati gli alloggi sfitti, cedendoli ad un prezzo simbolico/convenzionale, con l’impegno a ristrutturarli a proprie spese per concederli in affitto a prezzi calmierati. Insieme a ciò propongo di coinvolgere nei servizi di facility, come la custodia o la manutenzione del verde, tante realtà del privato sociale, che prestino occasioni di lavoro proprio per quegli inquilini morosi che hanno improvvisamente interrotto il percorso lavorativo. È una proposta di cui, sollecitati da un ordine del giorno a mia firma, si è già iniziato a parlare in Commissione politiche sociali da qualche mese. Una volta messe in campo risposte di questo tipo, e tolte le scusanti all’abusivismo, occorrerà sviluppare una maggiore collaborazione, magari anche con una convenzione tra MM e la Prefettura di Milano che rievochi il vecchio Patto per Milano Sicura, per prevenire e contrastare l’intollerabile fenomeno delle occupazioni.