L’avviso di convocazione dell’assemblea annuale di RcsMediaGroup – domani nel retro di Via Solferino – è lungo 9 pagine formato A4. A spanna riempierebbe agevolmente l’intera “prima” del Corriere della Sera: dove – nei prossimi giorni, ma non possiamo sapere esattamente quando – comparirà l’editoriale di congedo di Ferruccio de Bortoli. Un addio che segna questa primavera milanese del 2015 forse più della stessa apertura dell’Expo.
L’Esposizione universale durerà sei mesi e deve ancora passare alla storia – quella vera – della città. De Bortoli, direttore del Corriere nato a Milano, ha guidato il primo quotidiano italiano per 15 anni: quasi l’intera Seconda Repubblica. Prima ha confezionato le pagine economiche del Corriere, durante ha diretto anche Il Sole 24 Ore. Già oggi non è possibile prescindere dalla “narrazione” che De Bortoli ha dipanato giorno dopo giorno: alla fine facendolo lui personalmente, sempre primo critico delle cose che ha raccontato e del modo con cui il suo Corriere le ha raccontate.
Sempre pensoso verso quella stessa idea di Milano che proponeva senza stancarsi ogni mattina: sapendo che la realtà – della città, del Paese, compresa quella del giornalismo e dell’editoria – non sarebbe mai stata all’altezza del “sogno”, quello del Corriere dal 1876. L’incontro-scontro con la modernità – la cifra del Corriere – negli “anni di De Bortoli” ha assunto anzitutto la fisionomia della globalizzazione finanziaria: che ha portato al vertice della Bce Mario Draghi, quotidiano interlocutore del direttore del Corriere. Ma dopo la scomparsa di Enrico Cuccia, anche Mediobanca – di cui il Corriere è stato “clone” culturale al di là del legame proprietario – ha preso a declinare, assieme al vecchio establishment bancario-industriale.
E che dire della tecnologia? Quella che ha fatto delle intercettazioni giudiziarie una materia prima spesso difficile da maneggiare anche per un giornalista esperto. Ma soprattutto quella che ha obbligato il giornalista a svellersi dalla buona vecchia carta stampata. Non ultima la politica, cambiata alla velocità della luce. E la palingenesi di Tangentopoli che il giovane De Bortoli ha osservato, descritto, cercato di capire notte dopo notte nel cortile di casa milanese, è rimasta in fondo nella penna del direttore e del suo giornale: il milanese Berlusconi non ha mantenuto le promesse a cui Milano in molti non hanno mai smesso di credere. “Conservatore riformista”, europeista liberale, laico a suo agio in un paese popolato di cattolici, De Bortoli non mai ha ceduto all’ideologia: anche quando il columnist allevato da lui sul Corriere – Mario Monti – è diventato premier. Con Matteo Renzi – ma soprattutto con il renzismo già dilagante – De Bortoli non si è mai preso, e il suo passo d’addio è…
Simbolico: right or wrong, la Seconda Repubblica ha dato, ma ora la Terza Repubblica deve dimostrare quello che è capace di fare. Il prossimo direttore del Corriere, par di capire dai rumor, non sarà più milanese. Soprattutto: è probabile che il quotidiano avrà una “direzione”: un direttore di formazione romana, un condirettore di scuola napoletana. De Bortoli per primo sarà contento se faranno un giornale diverso dal suo, un Corriere che si confronta con la Terza Repubblica, ammesso che faccia la sua storia. Auguri anticipati (questo naturalmente non è un necrologio: ciao Ferruccio, siamo – e vogliamo restare – tutti milanesi).