«Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Vangelo, Gv 20,15). Due domande che Gesù rivolge, apparendole per prima, a Maria Maddalena, la mattina di Pasqua. Due domande che vanno diritte al suo cuore. 

Perché piangi? Chi cerchi?: queste stesse domande Gesù eucaristico dirige oggi a ciascuno di noi. Le lacrime, visibili o nascoste, dicono il dolore di una mancanza — e chi di noi non ne ha? —, ma anche l’inesprimibile gioia di una presenza donata (penso alla nascita di un bambino o all’amore degli sposi, al dono di compagnia dei nonni…).



Anche le donne e gli uomini di oggi — disincantati spesso fino al cinismo, ma anche vulnerabili come non mai — hanno bisogno di una compagnia amica che dia valore al pianto e ne sveli lo struggimento nascosto: Chi cerchi? Consapevolmente o inconsapevolmente infatti ogni pianto nasconde il bisogno di qualcuno che venga ad asciugare le lacrime, ad illuminare il senso (significato e direzione) dell’umana avventura.



La nostra Chiesa ambrosiana ci farà pregare con le preziose parole del nostro grande padre Ambrogio per tutti i cinquanta giorni del tempo di Pasqua, fino alla Pentecoste: «Non c’è nulla di più sublime di questo mistero:/la colpa cerca il perdono,/l’amore scioglie la paura/la morte di Cristo ridona una vita nuova./…/ la morte, trafitta dal suo stesso pungolo,/riconosca, gemendo, di essere lei sola perita» (Sant’Ambrogio, Inno di Pasqua). L’annuncio di Pasqua, che rende quella di oggi la festa di tutte le feste, non è altro che l’annuncio della vicinanza definitiva (per sempre) di Colui che il nostro cuore cerca.



Concentriamoci sull’appassionante sequenza delle apparizioni del Risorto per descrivere le quali il Nuovo Testamento conia una esclusiva forma verbale: «Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio» (Lettura, At 1,3); «è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto» (Epistola 1Cor 15,4b-8).

Questo “mostrarsi vivo” del Signore, agli apostoli e ai numerosissimi discepoli della prima ora si è rinnovato nel corso dei secoli e continua oggi attraverso la fede sacramentale della sua Chiesa. Una catena ininterrotta di testimoni che, come la Maddalena quel primo giorno dopo il sabato, continuano ad annunciare ai loro fratelli: «“Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto» (Vangelo, Gv 20,18).

«Chi fa questa esperienza — ha detto Papa Francesco — diventa testimone della risurrezione perché in un certo senso è risorto lui stesso» (Regina Coeli del 21 aprile 2014).

Con la risurrezione di Gesù la novità è entrata definitivamente nel mondo, spezzando le catene della morte che lo avvolgevano e donando agli uomini le primizie della vita eterna.

A noi è donata la caparra della gloria futura (nobis pignus datur futurae gloriae): così, durante la benedizione eucaristica, siamo stati abituati a pregare con le parole di O sacrum convivium. Partecipando all’Eucaristia, che rende presente ogni giorno il mistero della Pasqua, noi riceviamo la caparra della nostra risurrezione. Una manifestazione particolarmente luminosa — forse la più luminosa — di questo anticipo di vita definitiva è l’esperienza del perdono.

Come noi cristiani di Europa possiamo evitare di fare spazio all’imponente invito alla conversione che ci viene dalle impressionanti testimonianze, rimbalzate attraverso i media in tutto il mondo, di perdono offerto dai martiri cristiani ai loro assassini? La fede nella forza della risurrezione di Gesù può spiegare un fatto del genere: «Per grazia di Dio sono quello che sono – scrive l’Apostolo – e la sua grazia in me non è stata vana» (Epistola1Cor 15,10).

La Pasqua di quest’anno rende particolarmente urgente per tutti i cittadini europei, di qualsiasi fede e mondivisione, l’assumere decisamente l’impegno di costruire nuove forme di cittadinanza civica. Troppo abbiamo indugiato, ci siamo lasciati paralizzare da dialettiche intellettualistiche, subendo la tentazione di restare spettatori super-informati ma praticamente indifferenti ai clamorosi mutamenti che travagliano gli scenari mondiali. 

Questo passaggio, cioè questa pasqua, domanda di dare contenuto realistico alla pace. Quella pace che, come costantemente ci ammonisce Papa Francesco, continua ad essere calpestata. E lo è perché uomini e governanti non la perseguono in tutta la sua ampiezza, secondo i quattro inseparabili pilastri che San Giovanni XXIII individuò nella verità, nella libertà, nella giustizia e nell’amore (Pacem in terris).

Cristo è risorto. Sì, è veramente risorto“. Il grido gioioso che si propaga da 2000 anni come un’onda inarrestabile si trasforma nel nostro reciproco augurio. Permettetemi di formularlo con un verso del dolorante poeta inglese Hopkins: «Respirate Pasqua ora. Le ossa sono stanche di star curve. Ecco, Dio rafforzerà queste fragili ginocchia». Buona Pasqua.