Risvolti sempre più drammatici nell’episodio che ha visto uno studente in gita a Milano morire precipitando dalla finestra della sua camera. I professori che accompagnavano la scolaresca hanno saputo della morte del giovane solo dopo che gli impiegati dell’hotel, la mattina durante la colazione, hanno mostrato loro la foto del corpo dello studente ormai morto. Uno dei professori sarebbe anche svenuto per lo shock. Intanto gli inquirenti si sono recati a Padova, dove è la scuola di provenienza degli studenti, e li stanno interrogando per capire cosa è successo in quelle ultime ore. Interrogatori pesanti, anche otto ore per ciascuno. Tra le ipotesi è che nella stanza di Domenico si fosse tenuta una festa. L’ipotesi dell’incidente è intanto sempre meno probabile. Dal pavimento al davanzale ci sono un metro e dieci centimetri di altezza: dunque talmente alto da salirci solo volontariamente o spinto da qualcuno.



Il dolore di una mamma e la certezza che non vedrà più il figlio vivo, che affida le sue parole a Facebook, nella speranza che chi sa parli, dica la verità, perché lei non crede al suicidio. Antonia Comin, un’insegnante e madre del 19enne precipitato dal quinto piano dell’hotel Da Vinci, a Milano, durante una gita scolastica, ha scritto sul social network: “Ho affidato il mio unico figlio, sano e in buona salute, all’Istituzione scolastica. Mi verrà riconsegnato cadavere”. “Lo hanno lasciato morire solo”, scrive la donna su Facebook. Non ci sono lacrime per descrivere il dolore: “Ho trascorso questi ultimi vent’anni amandolo, curandolo, ascoltandolo, condividendo con lui le sue conquiste, le sue gioie, i suoi insuccessi; sostenendolo e costruendo con lui ogni momento, perché acquisisse solide radici ma anche valide ali per volare”, scrive la donna. “L’hanno lasciato morire, solo e nell’indifferenza generale. Non ci sono lacrime né parole che possano esprimere il vuoto, la privazione, l’assurdità di tutto, il silenzio innaturale, il dolore”. Poi una certezza: “Se fosse rimasto a casa, sarebbe vivo”. Per lei il figlio non si è suicidato: “Non si è tolto la vita. Era sereno, felice. Aveva mille passioni”. Il ragazzo frequentava la classe quinta del liceo scientifico Ippolito Nievo e adesso da quel liceo è calato il silenzio, la gente si è allontanata: dai compagni di classe agli insegnanti. Eppure domenico ha quei segni sulle braccia lasciati da qualcuno che lo ha afferrato, poi ha perso la presa, scappando senza lanciare l’allarme. C’è chi mente? «Io attendo di poter raccogliere dei pietosi resti. È meglio che non trovi parole», conclude la madre di Domenico. (Serena Marotta) 

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