“E’ un Expo in cui prevalgono l’ideologia bio e la retorica compassionevole sulla fame nel mondo, ma in cui mancano la valorizzazione della nostra industria e la proposta di un modello di sviluppo differente”. E’ l’osservazione di Giulio Sapelli, professore di Storia economica all’Università di Milano, sulla grande esposizione universale inaugurata ieri. “Oggi comincia il domani dell’Italia – ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, durante la cerimonia -. Dimostriamo con l’Expo che l’Italia è orgogliosa delle sue radici, delle sue tradizioni. Il nostro vertiginoso passato ci invita a costruire e non soltanto a ricordare. Venite a scoprire che sapore ha l’Expo dell’Italia”.



Al di là del tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, che cos’è veramente questo Expo?

Incomincerei da quello che non è. L’Expo 2015 è un’occasione mancata per parlare di quello che è veramente l’Italia. Il fatto che come tema si sia scelta l’alimentazione di fatto ha riproposto nell’arena mondiale l’immagine stereotipata dell’Italia spaghetti e mandolino, facendo dimenticare che siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa e uno dei sette Paesi più industrializzati al mondo. E’ una conferma dell’incapacità degli italiani di parlare bene di se stessi.



Agroalimentare e industrializzazione sono davvero in contrapposizione?

No, anche se la vera contraddizione culturale di questo Expo è il fatto che tra gli sponsor ci siano McDonald’s e la Coca Cola, ma non il simbolo Ogm. Concordo con il ministro francese, Segolene Royal, che ha parlato di “valorizzare l’ambiente puntando sull’industria”. Condivido meno la filosofia del biologico alla Carlin Petrini, su cui si fonda questo Expo, soprattutto perché non è coniugata con una difesa delle popolazioni contadine.

Pur con questi limiti, l’Expo può aiutare la ripresa dell’Italia?

Spero che non ci saranno solo turisti e visitatori, ma anche delegazioni commerciali e industriali. Per aiutare la ripresa sarebbe però stato necessario prevedere un “dopo Expo”, rispetto a cui siamo del tutto latitanti. C’è un coacervo di muscolarismo architettonico fatto di cemento e acciaio, ma manca la capacità strategica di pensare al dopo.



In molti lamentano il fatto che non si riesca a sfruttare un’opportunità come Expo. E’ un approccio moralistico?

Molto dipende dal fatto che questo Expo è nato senza un gioco di squadra. Ci ricordiamo tutti le polemiche tra la Moratti e Formigoni. Del resto anche quando si trattò di votare tra Smirne e Milano a sostenerci furono soprattutto i Paesi africani, che non possono certo darci un aiuto significativo a livello industriale. Expo è una grande opportunità, ma francamente non ho mai sentito un discorso che enunci come si possa passare dalla potenza all’atto.

Abbiamo visto tutti i black bloc. Chi contesta Expo ha qualche ragione?

Se lo facessero senza violenza avrebbero molte ragioni. Mettiamoci nei panni di un giovane il quale crede che sia possibile dare da mangiare a tutto il mondo senza gli Ogm, ma solo attraverso l’agricoltura bio. Nel momento in cui vede che tra gli sponsor ci sono McDonald’s e la Coca Cola, ma che poi la narrazione di Expo è tutta basata sul biologico, posso capire che un ragazzo si senta preso in giro. Il modo in cui l’esposizione è presentata è una grande opera di mistificazione.

 

Esiste un messaggio culturale dell’Expo?

E’ un amalgama di vari messaggi. La Carta di Expo parla di verità sacrosante come il diritto all’alimentazione per tutti. La “retorica compassionevole” con cui questi valori sono però declinati raccoglie certamente molti consensi, ma se vogliamo dare da mangiare a tutti dobbiamo affrontare il tema della proprietà capitalistica della terra. Ciò che occorre fare è coniugare l’industria e una proprietà della terra che non è quella oggi in vigore nel mondo, con forme di tipo no profit e cooperativo. Tutto questo nel messaggio di Expo invece manca e mi sembra una carenza gravissima.

 

L’auspicio del Papa è che Expo “non resti solo un tema” e che “sia sempre accompagnato dalla coscienza dei volti: i volti di milioni di persone che oggi hanno fame”. Condivide questo invito?

Sono completamente d’accordo. Il Papa ci sbatte i volti di chi ha fame sulle facce di noi occidentali che abbiamo riempito il mondo di edonismo nichilistico. Per evitare che quei volti rimangano affamati bisogna cambiare modello di sviluppo, e io questo all’Expo non l’ho sentito. Mi sembra una grande fiera commerciale, neanche fatta troppo bene. Non nego che l’ad Giuseppe Sala, e insieme a lui migliaia di operai, abbiano fatto miracoli. Però rimane un po’ l’amaro in bocca.

 

Per Papa Francesco “non si può parlare dei poveri senza parlare di Dio: dacci oggi il nostro pane quotidiano”…

E’ un’accusa terribile a chi il pane non lo dà. Quello del Papa è un attacco enorme al meccanismo capitalistico internazionale. Non alle multinazionali in sé, ma a un certo modello di sviluppo. E’ un secolo che questo modello di sviluppo non ci dà il “pane quotidiano”, anzi le cose peggiorano. E’ vero che la povertà assoluta è diminuita, ma oggi abbiamo delle capacità tecnologiche grazie a cui, con una distribuzione dei diritti di proprietà diversa, avremmo potuto dare da mangiare a tutto il mondo.

 

(Pietro Vernizzi)

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