Guardando la mappa delle città chiamate al voto amministrativo nei prossimi mesi si può capire come le comunali rischino di avere un peso simile a quello delle politiche. Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Cagliari saranno i test più importanti. E si stanno scaldando i motori sia tramite le primarie sia tramite le dichiarazioni politiche che cercano di coinvolgere segmenti di popolazione ed elettori potenziali.
Com’è ormai tradizione esce il “tormentone” della parola/concetto chiave “società civile”, l’appello ai cittadini che dovrebbero riconoscere il civismo come approccio valoriale che taglia trasversalmente tutti i partiti (ormai in crisi in termini organizzativi). Società civile è spesso la parola d’ordine di tutti i candidati (che si cimentano o meno nelle primarie). Il mantra della società civile fu una carta vincente per il sindaco di Milano Pisapia. Finalmente si è eliminato l’aggettivo “cosiddetta”che per molto tempo ha accompagnato “società civile”. Sarebbe quindi scontata una rappresentanza del privato sociale fatta di nomi e cognomi di persone che l’hanno gestito in modo organizzato (associazioni, imprese sociali non profit, fondazioni, cooperative sociali, Ong etc.).
A Milano, per esempio, alcuni candidati alle primarie sono esponenti della società civile o hanno avuto un endorsement da parte del mondo del privato sociale. La sensazione però è che la “società civile” viene “tirata fuori dal cassetto” quando c’è bisogno di avere conforto popolare, condivisione di suggestioni,pressione sull’opinione pubblica ormai lontana dai partiti, passepartout della virtù, speranza di democraticità e di gestione trasparente. Purtroppo ci sono state degli avvenimenti non favorevoli (si veda “mafia capitale”) e il contesto normativo non aiuta (si veda lo scandalo del blocco della Riforma del Terzo settore che ricordo essere la “casa” operativa della società civile).
Solitamente dopo le elezioni il ruolo delle non-profit e del volontariato viene “riposto nel cassetto”. Forse è il solito gioco dell’effetto-annuncio che poi brucia le proposte interessanti ed innovative o forse è la reazione della conservazione della nomenclatura rispetto alle scelte innovative per la gestione della res publica. I cittadini attivi compongono la società civile che è composta dalle imprese sociali non profit e giocano un ruolo di sussidiarietà enunciato dalla Costituzione nell’art. 118, ultimo comma. Il non profit è di chi lo rappresenta e gli da spazio anche istituzionale. E’ il partito dei valori, del welfare allargato unitamente allo sviluppo economico della comunità e della difesa dei diritti delle fasce deboli e vulnerabili, dell’esigenza di trasparenza dei consumatori e dei risparmiatori.
Con questo “partito” trasversale orientato ad un “sano opportunismo” bisogna fare i conti ed il loro consenso è di difficile gestione perché è molto orientato a misurare il fare ed i risultati ottenuti più che l'”effetto annuncio”. Esso non può aspettare le promesse,ma vuole programmare la propria attività sulle condizioni reali perché si possano risolvere i problemi.
Alla porta bussano insistentemente anche le fasce deboli della società. Secondo i dati Istat un quarto (26,6%) delle sedi delle non profit lombarde sono in Milano e provincia (cioè nella Città Metropolitana) e le imprese sociali non profit sono 12.265. Inoltre gli addetti sono 61.450, i lavoratori esterni e temporanei sono 27.410 ed i volontari 241.212. Sono numeri ragguardevoli e tali da costituire una ricchezza di capitale economico e sociale imponente che può sviluppare un effetto moltiplicatore per l’assetto sociale dell’area metropolitana.
I candidati a sindaco di Milano quali proposte fanno per riconoscere il non profit nella tripolarità del sistema città (non profit, profit, pubblico)? Quale spazio istituzionale? Si confida sempre nella memoria corta dei volontari e dei cittadini coinvolti nel non profit? Si attendono risposte.